Quando la politica dimentica che dietro i voti ci sono volti, storie… persone. La storia di Giovanna

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In questi giorni così caotici che vedono orde di politici muoversi in città, tra congressi di un partito, tour di un altro. Primarie, proposte, incontri, scontri, dibattiti più o meno aperti. Tutti a farsi i complimenti, a dirsi “quanto hai fatto bene”, “no ma tu hai fatto meglio”. La politica dimentica un aspetto importante, la società, le persone, i singoli. Quelli che dice di rappresentare, quelli a cui chiede il voto, quello a cui, di sottecchi o a gran voce, promette aiuti, sostegni, posti di lavoro. E sono tante le persone, invece, che vivono difficoltà quotidiane. Persone che non chiedono aiuti, non lo fanno per dignità, per orgoglio, perché ritengono che il dover chiedere sia l’ultima tappa. E sono tante quelle persone, molte di più di quelle che pensiamo, sicuramente tante di loro sono quelle da cui meno ci aspettiamo che vivano una situazione difficile. E in tanti ci scrivono, è capitato che volessero sfogarsi, raccontare la propria storia, arrabbiarsi con il politico di turno. Nei giorni scorsi però ci è arrivata una testimonianza pacata, gentile, una denuncia “composta” verso un sistema in questa città che non tiene più conto dei singoli, dei volti nella folla. E non lo fa più da tempo, senza che sia stato il colore della casacca politica a fare la differenza.

La testimonianza

“Buongiorno, mi chiamo Giovanna (nome di fantasia), ho 46 anni e vivo a Cassino. Sono madre di tre ragazzi, due dei quali adolescenti. Sono felicemente sposata. Mio marito ha 52 anni. Entrambi lavoriamo, ma non ce la facciamo ad arrivare alla fine del mese. Come tanti altri. Lavoro nel commercio fin da ragazza, come addetta alle vendite, cassiera. Salvo brevi periodi ho sempre trovato impiego. Certo non sempre alle condizioni sperate. Mio marito è rappresentante, ha lavorato per anni per ditte di Roma. Poi il Covid ha messo un po’ tutto in discussione. E, come per tanti altri, le cose sono cambiate. Quello che non è cambiato però è lo scorrere del tempo. I bambini sono cresciuti, hanno continuato a richiedere, come è giusto che sia, attenzioni e mezzi necessari per poter condurre una vita adeguata. Libri, strumenti scolastici, un po’ di sport, abbigliamento. Da tempo ormai abbiamo rinunciato alle ferie, molto prima del Covid, feste di compleanno non esistono, mi trovo costretta a dover “scegliere” dove mandare la mia bimba più piccola perché sborsare una quota regalo a settimana diventa davvero troppo. E non è per l’importo, è proprio una spesa che per noi è fuori budget. Quattro compleanni al mese e arrivo alla cifra per un corso sportivo. I ragazzi sono diventati grandi, vogliono uscire con gli amici, qualche soldo in tasca, la ricarica al telefono. Sanno che non devono chiedere abiti e scarpe, se ne prendono al bisogno, ben venga se qualcuno ce ne da di usati. Ma non viviamo male. Loro sono bravi, qualche muso lungo tipico per l’età, qualche parolaccia e porta sbattuta, ma tutto sommato ce la caviamo”.

Il fallimento della società sulle spalle del singolo

“Ci sono dei momenti però in cui sento che nel mio ruolo di madre fallisco. Quando vedo che i loro compagni partono per gite e settimane bianche, per noi più che un lusso, con la stessa cifra praticamente faccio la spesa per due mesi. E loro restano a casa e guardare le storie e le foto, a chattare per chiedere cosa stiano facendo gli amici là. Quando li vedo che mangiano prima di uscire, perché così fuori non “hanno problemi”. Mi dicono “Così non sprechiamo tempo visto che dobbiamo tornare entro le dieci”. Io li vedo, lo so che è per risparmiare. Mi dicono: “i ragazzi bevono, pure i tuoi sicuramente se non lo fanno a breve lo faranno. E fumano”. Capirai, i miei ragazzi, quelli che si fanno pane e frittata il sabato sera. E me la fanno passare come una tattica per stare più tempo in giro. Ma io lo so, so bene cosa fanno. E se da una parte mi rendono fiera, dall’altra mi dico che sarei pronta a tagliarmi un braccio per loro”.

La spettacolarizzazione della solidarietà

“E il padre? Il padre si è reinventato un lavoro dove i soldi di base sono pochini e ne arrivano di più se lavora di più. Abbiamo eliminato la seconda auto. Insomma, stiamo attenti a tutto. Eppure. Eppure a volte non ci si arriva proprio. Saltano le visite mediche, si mangia più pasta del dovuto, si fa ritardo con più di qualche bolletta. Non abbiamo mai pensato di chiedere sostegni alle associazioni, alle parrocchie o al Comune, perché penso che in fondo ci sta chi sta peggio di noi. Eppure vedo famiglie che, pur facendo file per pacchi e aiuti, se ne vanno tranquillamente a spasso senza pensieri. Inoltre anche alla consegna dei pacchi in occasione delle feste ho visto spesso foto e articoli, e credo che questo non sia corretto nei confronti di chi ha bisogno. Magari non vuole far sapere le cose private. Io mi sentirei un po’ usata e messa in vetrina, e con me i miei figli, la mia famiglia. Questo in un mondo dove si sa, il bullismo è dietro l’angolo e dove i social sono alla portata di tutti. Che senso ha chiedere aiuto al bisogno se per “ripagare” quell’aiuto bisogna mostrarsi mentre si riceve?”.

Una società che sbandiera l’inclusione da una posizione esclusiva

Parole dure quelle di Giovanna, una mamma composta, una moglie felice. Ricca di sentimenti. Ma una donna che fa i conti con le mille difficoltà quotidiane e con quel senso di impotenza molto comune tra quei genitori , e non solo, che sono consapevoli di non poter offrire il meglio ai figli e ai loro cari. E che sia ben chiaro il meglio non è la gita, la scarpa firmata o la festa con mega location, il meglio è una prevenzione sanitaria, visite mediche adeguate, possibilità di poter vivere una vita da adolescente, da bambino e vivere esperienze di aggregazione con i coetanei. La libertà di andare a fare una gita in famiglia o con gli amici, di poter andare al cinema o a mangiare una pizza con la classe. Perché la vita è anche questo.

Senza un sistema che rispetti i singoli, i singoli non credono più nel sistema

“In fin dei conti ho scritto non per chiedere aiuto, o per impietosire i politici. La politica ormai non ci interessa più. Ce ne sono stati di via vai con volantino alla mano. All’inizio ci abbiamo anche creduto, da tempo non apriamo neanche più la porta di casa, quel caffè offerto al visitatore di turno ce lo beviamo noi! Mi trovo a scrivere perché penso a loro, ai miei figli. All’idea che non so se sarò in grado di potergli garantire la possibilità di proseguire gli studi, qualora decidessero di farlo, perché la borsa di studio non basterebbe. Perché alla fine io e mio marito un lavoro ce lo abbiamo e per lo Stato, per il sistema stiamo bene così. Perché vorrei che portassero meno peso, che se da una parte li fortifica e li aiuta a crescere, dall’altro li priva di esperienze che dovrebbero fare ora che sono piccoli. Perché non vorrei avere paura di chiedere aiuto per poi trovarmi su un giornale o su qualche foto accanto al sindaco, all’assessore, al prete di turno. Perché da fare c’è tanto e non si tratta di asfalto e strade, si tratta di creare un sistema reale che rispetti gli individui, che non tragga “beneficio” dall’aiutare l’altro. Non è tutto una questione di immagine! Ma che pensi ad amministrare come lo si fa per la propria casa, per la propria famiglia, e non come si farebbe per l’azienda di uno sconosciuto nella quale poter fare e disfare portandosi a “casa” ciò di cui si ha bisogno. Perché in quella azienda ci sono degli operai. Ed è proprio per questo modo di pensare che anche le fabbriche in questo territorio stanno in crisi. Perché chi gestisce di rado è stato operaio e se lo è stato la memoria a volte tira brutti scherzi. Uno sfogo di una mamma, una come tante altre, una che potrebbe essere l’inquilina che abita di fronte. Una mamma che non sa come insegnare ai figli a credere nel sistema, nel futuro. Perché ormai non ci crede neanche più lei”.

E’ tempo di dare senza pretendere medaglie in cambio

Giovanna, Antonio, Michele, Maria. Chissà quante persone ci sono che avrebbero bisogno ma non osano. Che non credono più nel prossimo. Che temono di poter essere esposte nel momento di una fragilità. Che la notte non dormono perché i pensieri sono troppi. Che si ritrovano a dover combattere contro malattie anche importanti perché hanno saltato la visita di controllo o di prevenzione. Cosa dire a tutte queste persone? Perché è arrivato il tempo di dare risposte e di smetterla di chiedere. Di chiedere un voto, di chiedere di prendere posizione, di chiedere di schierarsi, di chiedere di dare. I tempi sono maturi per prendersi cura degli altri senza per questo pensare di dover ottenere una medaglia o una foto in prima pagina.

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