Montecassino, un Presepe permanente nella casa di San Benedetto

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Inaugurata a a Montecassino l’esposizione permanente del Presepe napoletano del ‘700 curata dal professor Rosario Di Fazio che ha avuto modo di illustrare le varie fasi di un processo iniziato circa un anno fa – a partire dal recupero delle figure presepiali- e  ha poi terminato con un excursus su quelle che sono le “scene fisse” nel presepe napoletano. A darne notizia le fonti ufficiali della Casa di San Benedetto.

L’Abate Luca nel suo saluto ai presenti ha evidenziato come sia nata l’idea di questa esposizione, di come sia stato fondamentale il contributo di Di Fazio e del restauratore, il maestro Carlo Iacoletti, della famiglia Catello.

Importante anche il supporto di quanti si sono fatti carico dell’impegno economico: con il sostegno della Banca Popolare del Cassinate sarà infatti anche pubblicato un catalogo delle statue non soltanto di questo presepe ma anche delle altre natività e delle altre figure presepiali custodite in Abbazia e che non è stato possibile esporre in questa occasione. I momenti dell’inaugurazione colti dall’obiettivo attento di Michele Di Lonardo.

Le parole dell’abate

“Ringrazio tutti voi che siete intervenuti a questa inaugurazione e in particolare quanti hanno lavorato e reso possibile la realizzazione di questo presepe napoletano, esposto da oggi in modo permanente in un ambiente della nostra abbazia di Montecassino.

Quest’anno ricorrono 800 anni da quando, a Greccio, san Francesco di Assisi ebbe l’intuizione di offrire una rappresentazione visibile del mistero dell’incarnazione, di modo che si potesse vedere, come racconta Tommaso da Celano, “con gli occhi del corpo” la povertà e i disagi fra i quali Gesù venne alla luce.  Vederli con gli occhi del corpo per poterli anche contemplare, potremmo dire, con gli occhi del cuore. Certamente, quanto fece Francesco a Greccio è qualcosa di molto diverso dai presepi come noi oggi li intendiamo, e dunque anche dalla ricca tradizione del presepe napoletano, su cui ci dirà il prof Rosario Di Fazio, che dell’allestimento di questo presepe è il curatore. San Francesco, infatti, volle che fosse preparata una grotta con l’asino e il bue, senza statue e senza neppure Gesù Bambino, ma solamente una mangiatoia con del fieno in cui celebrare l’eucaristia, perché il Signore che si è incarnato a Betlemme continua ora a essere presente in mezzo a noi nei segni del pane e del vino consacrati. Rimane però vero che da quell’intuizione originaria si è sviluppata una tradizione secolare che ancora oggi continua a essere per noi carica di suggestioni e di significati”.

I paesaggi del Presepe

Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.

Anche il nostro presepe vuole essere un segno di novità e di speranza in un mondo e in una storia che ci presentano tanti segni di crisi. Penso alle guerre, ma penso anche a tante situazioni di sofferenza, di smarrimento, di violenza e di disperazione presenti in mezzo a noi, nei nostri paesi e città. Penso alle difficoltà di chi lavora come di chi è disoccupato, alla perdita di senso della vita, tanto più grave nel mondo giovanile, alle molte forme di depressione che colpiscono tanti, alla sfida educativa, e alle tante altre sollecitazioni che ci vengono da un mondo che sta cambiando così in fretta che non riusciamo sempre a comprendere e ad affrontare nel modo giusto le domande da cui veniamo interpellati… Gesù nasce in tutto questo come segno di speranza ma anche come richiamo alla nostra responsabilità.

Nel presepe non ci sono non solo i pastori, ma tanti altri personaggi che vanno verso Betlemme, verso la mangiatoia di Gesù, con i segni della loro vita quotidiana, del loro lavoro e dei loro impegni. Essi convergono verso Gesù e in questo modo convergono anche tra loro, gli uni verso gli altri. È un invito da non lasciare cadere, da interpretare e da accogliere: riusciremo ad affrontare la crisi attuale e le sue sfide a questa condizione: sapere e voler convergere gli uni verso gli altri, ritrovando coesione e legami sociali, sperimentando solidarietà e sostegno vicendevole. Accogliere il Signore che viene nella mangiatoia di Betlemme deve significare anche questo: lasciarci da lui nutrire per ritrovare il senso della nostra convivenza responsabile e solidale, perché soltanto insieme, sostenendoci e collaborando vicendevolmente, potremo affrontare i problemi e dare risposte vere ed efficaci alle nuove sfide che dobbiamo affrontare con creatività, responsabilità, concretezza.

Nella notte del Natale di Gesù gli angeli annunciano: «oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore». Oggi, anche in questo nostro oggi egli viene per noi come salvatore. Ma questo ci impegna non solo a contemplare la sua nascita, vedendola con gli occhi del corpo, come volle san Francesco, ma ci impegna anche a collaborare con lui, perché il nostro oggi, la nostra storia, sia davvero per tutti storia di salvezza.

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