Cassino, quando andare alla Caffetteria significava andare a casa. E imparare ad essere sé stessi

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Si sa che nel tempo le cose cambiano, le generazioni passano, i locali aprono e chiudono. Ogni generazione ha ricordi di questi scorci della “sua” Cassino. Accade in tutte le città, nei paesi, nei borghi. Le generazioni “vecchie” rimpiangono i posti che non ci sono più. Ognuno pensa che la propria sia la migliore. Questo accade spesso, quasi sempre. Una convinzione, per alcuni una certezza. Ma su una cosa non si discute. Le cose nell’ultimo decennio e oltre sono cambiate un bel po’. I ragazzi sono diventati “grandi” prima del tempo, ben vestiti e con i soldi di mamma e papà in tasca. Anime di adolescenti in corpi e abbigliamento da adulti. Gli è stato chiesto di omologarsi, gli è stato imposto di essere come ci si aspettava che fossero.

L’empatia è diventata una parola da post sui social, guardarsi negli occhi è diventato invece pericoloso e difficile. Per questo si usano pc, smartphone, si realizzano video e si chatta anche per innamorarsi, per litigare. Per provare emozioni. Ognuno per sé, ognuno per aumentare il proprio seguito. Del “gruppo” è rimasto poco, del piacere di stare insieme e accettarsi per quello che si è ancor meno. L’omologazione è diventata la norma, super trucco, cellulare ultimo modello, capelli all’ultima moda. Dei dopobarba del nonno neanche l’ombra, ormai i ragazzini indossano profumi da centinaia di euro. Ciglia da cerbiatto finte come rose di gesso e unghie di plastica super variopinte che coprono dita da bambine.

Ma forse quello che manca di più è un approdo sicuro. Un posto in cui stare come in famiglia, in cui ricevere una pacca sulla spalla, anche un cazziatone al bisogno. In cui incontrare persone diverse dalle quali conoscere storie. Imparare che essere sé stessi è bello e anche più facile di quanto si pensi. Imparare a crescere essendo liberi, non avendo paura di essere diversi o di avere spirito critico. Imparare l’audacia, la tenacia per esporre le proprie idee.

Fino a qualche anno fa quel posto era la Caffetteria. Marcella Tonietti era il cuore pulsante di questo luogo, un po’ casa, un po’ bar, un po’ ristorante, un po’ biblioteca. Musica, poesie, confronto, dibattiti su politica, arte. Tutto condito da birra, qualcosina da sgranocchiare e dolcetti che non mancavano mai. Caffè, cappuccini e cioccolata calda. Se alle 23, in piena settimana, con un tempo da cani ti veniva voglia di una frittella, da Marcella tutto era possibile. Un po’ di impasto, un pizzico di pazienza e via, ecco ciambelle cariche di zucchero e cornetti con la nutella appena sfornati.

Non era insolito trovare i grandi musicisti cassinesi: batteria, basso, chitarra. Prima le discussioni su quale genere fosse migliore, poi via concerti improvvisati per il divertimento dei presenti. I più piccoli imparavano dai più esperti in un ciclo continuo. I personaggi caratteristici della città martire immancabili nelle calde serate estive, tutti intenti ad esporre le proprie teorie. Libri ovunque, riviste. Artisti che in pochi minuti realizzavano “istantanee” con carboncino e sanguigna su tovagliette un po’ sporche un po’ accartocciate.

I “metallari”, con i loro anfibi, i capelli lunghi e gli abiti rigorosamente neri. I punk con piercing, creste e capelli variopinti. I figli di papà, i figli di nessuno, i figli di una città. La Caffetteria era aperta a tutti. Era sempre aperta. Non c’era giorno in cui fosse chiusa. Robertino al bancone, con i suoi modi di fare e il suo entusiasmo. Ma anche con le sue giornate no e le risposte senza senso.

Marcella, categorica, una mamma, una zia, un’amica. Amorevole rompipalle. Una parola per tutti. L’ascolto era alla base delle giornate e dei pomeriggi trascorsi a quei tavoli di legno, su quelle sedie tutte diverse. Diverse come i fruitori della Caffetteria. E i giorni passavano, le stagioni si alternavano. Era Natale, poi Pasqua, poi domenica e poi un compleanno di uno, dell’altro. E le generazioni si incastravano e la comunità respirava. La musica accompagnava i dibattiti, all’improvviso ecco una tammurriata e balli inventati. Nessuno criticava l’altro. Si assisteva alla diversità, la diversità era la chiave di lettura, l’ingrediente base. La diversità era il valore aggiunto.

La Caffetteria aprì i battenti giovedì 13 aprile del 1995 per chiuderli definitivamente mercoledì 31 dicembre del 2008. In questi tredici anni ne sono passate di storie, di volti, di emozioni tra quelle quattro mura. La saracinesca abbassata per diverso tempo ha lasciato molti nel caos, non c’era più una “tana”, il famoso approdo sicuro. In quel posto molti si sono innamorati, si sono odiati, sono diventati amici che ancora oggi si sostengono. Hanno immaginato il loro futuro, intrapreso strade, compiuto scelte.

Qualcuno quel posto lo ha cercato altrove, chi l’ha trovato, chi gira ancora, chi ancora ha in Marcella quel posto sicuro nel quale tornare. Molti sono cresciuti, alcuni sono andati, partiti, ora sono altrove nel mondo. Altri non ci sono più, vivono nei ricordi. Figli diventati genitori. Ragazzi diventati adulti. In quel luogo altri ne sono venuti, diventati a loro volta punti di riferimento per altri.

Per chi in quel luogo ci ha “vissuto”, per chi quel posto lo ha sentito “casa”, basta poco, basta chiudere gli occhi e vedere quella porta finestra verde, sentire la caciara, la voce di Marcella sovrastare le altre. E si ritorna adolescenti, spensierati in un certo verso, pieni di pensieri per altri versi. Tutti diversi, tutti uguali, tutti in bilico eppure in equilibrio.

E passando in via Enrico De Nicola 97, se si chiudono gli occhi in quelle domeniche pacifiche e silenziose in cui le strade sono vuote perché sono tutti a casa a mangiare o a riposare, si può sentire bene la voce avvolgente di Franco Battiato rimbombare e ricordare ciò che eravamo, ciò che siamo stati. Un angolo di Cassino, uno scorcio generazionale, non un luogo alla moda, nessuna carta da parati alle pareti, zero stoviglie di pregio o tovaglie dai ricami dorati….

“Una vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù; capitani coraggiosi; furbi contrabbandieri macedoni; gesuiti; euclidei; vestiti come dei bonzi per entrare a corte degl’imperatori della dinastia dei Ming.

Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente. Avrei bisogno di…

Per le strade di Pechino erano giorni di maggio, tra noi si scherzava a raccogliere ortiche. Non sopporto i cori russi, la musica finto-rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese, neanche la nera africana.

Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente. Avrei bisogno di… Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente. Avrei bisogno di…”

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