Quando la mafia uccideva l’estate

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Mafia. Palermo 19 Luglio 1992 – ore 16,56. Faceva caldo, tanto caldo. L’aria era quasi infuocata quando il giudice Paolo Borsellino entrò in via Mariano D’Amelio con tutta la sua scorta a seguito. Tre blindate occupate oltre che dal magistrato, dagli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Antonino Vullo. La strada è stretta, “pericolosa” secondo la scorta. E’ da anni che chiedono di non far parcheggiare le auto davanti l’abitazione Maria Pia Lepanto. La mamma che Paolo visita assiduamente. Al civico 21. Dove abita anche sua sorella, Rita.

L’inferno a Via D’Amelio

Il giudice scende dalla macchina e come al solito si accende una sigaretta. Una delle tante della domenica appena trascorsa in famiglia nella villa al mare. I suoi angeli custodi si schierano a ventaglio intorno a lui. Per proteggerlo. Come fanno tutti i giorni. Come sempre. Fino alla fine. Antonio Vullo cerca di parcheggiare una delle vetture della scorta mentre Borsellino varca il portone con i suoi angeli. E vola via insieme a loro. Sono le 16,58, per altri le 16,59, via D’Amelio è un inferno ed è “Finito Tutto”. Lo disse Antonio Caponnetto, dopo aver visto la salma di una “giustizia” dilaniata, ancora una volta, a 57 giorni di distanza dal giudice Falcone, dalle bombe della Mafia. L’Italia si ferma. Scossa ancora una volta. Davanti alla televisione, chi è tornato già dal mare, alla radio chi ancora sta tornando in macchina. Fino a quando i cronisti non annunciano che il cadavere depezzato, senza un braccio, senza una gamba, con un buco in testa e una nella pancia è quello di Paolo Borsellino. Morto perché vicino a molte verità. Andate via con lui e ormai nascoste per sempre.

Trent’anni

Oggi alle 16,58 o 16,59 saranno passati trenta anni. Trent’anni da una strage quasi impunita, lo cantava anche Elio a Sanremo ’96 ne “La terra dei Cachi”. Trent’anni di misteri e di silenzi di Stato. Vergognosi. A dir poco. Nel 1992 sono poco più di un bambino, non posso sapere molto di Borsellino, come anche di Falcone, ce ne hanno parlato a scuola dopo che è saltato in aria anche lui, a Capaci. Che fino allora per me voleva dire soltanto essere in grado di fare qualcosa. «La Mafia ha ammazzato un altro giudice», sono le parole gridate da mio padre a mamma per distogliere la sua attenzione dalle faccende di casa.

Quando la mafia uccideva l’estate

Guardo anche io, ci capisco ben poco. E’ chiaro che li è scoppiata una bomba e delle persone sono morte. Ma di come cambiò la storia del nostro paese quell’evento ne capii l’importanza soltanto qualche anno dopo. Ed oggi la domanda che mi pongo è: sono stati solo i cosiddetti mafiosi? E da ospite provetto del buon Marzullo mi do anche una risposta: non credo. L’Italia non è più come quella di trenta anni fa e di uomini di spessore come Borsellino non ne fanno più o ne “fanno” pochissimi, tanto è difficile incontrarli nel proprio percorso di vita.

Il suo sacrificio e quello dei ragazzi della sua scorta, a cui è stato tolta anche l’occasione di vivere i propri figli, sia sempre un ricordo costante, indelebile come quelle immagini in tv, quando la mafia uccideva l’estate.

“È normale che esista la paura in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti.” Paolo Borsellino

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Mirko Tong

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