Ma quanti bei vaccini Madama Dorè

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La pandemia da virus SARS-Cov-2, che produce la malattia nota come Covid19, ha messo in moto un gigantesco meccanismo di ricerca non solo per comprendere e curare gli aspetti clinici della malattia. Ma anche per prevenirla. I famosi vaccini rappresentano, come sempre per le malattie infettive, la migliore linea contro virus e batteri. Il primo vaccino della storia fu creato contro il vaiolo nel 1798 da Edward Jenner, e i suoi agenti immunizzanti erano stati tratti da un’infezione similare della mucca. Grazie all’adozione obbligatoria in tutto il mondo, oggi il vaiolo è ufficialmente scomparso. Il principio è semplice: si inocula in un soggetto una proteina, una tossina, una parte dell’agente infettante, così da rendere capace il sistema immunitario di riconoscere immediatamente (in caso di contagio) il “corpo estraneo”, evitando così l’infezione.

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La novità dei vaccini in corso di somministrazione

La novità dei vaccini in corso di somministrazione è che per la prima volta si inietta materiale genetico del virus. Questo materiale (RNA o DNA) induce le cellule a produrre una proteina specifica del virus (detta “spike“). Contro questa proteina il sistema immunitario si attiva, mantenendo quindi la “memoria” e la capacità di rispondere all’infezione per un tempo ancora non definito. Pfizer, AstraZeneca, Johnson non sono gli unici vaccini studiati. Al 26 marzo 2021 ci sono ben 100 “candidati-vaccini”. Oggetto di 283 studi clinici, di cui 13 già approvati in almeno un Paese. Ne esistono di 8 tipi diversi. Con i vaccini a RNA o DNA (Pfizer e AstraZeneca) viene inoculato materiale genetico del virus.

Ci sono poi quelli di scuola classica, in cui l’iniezione contiene solo la proteina che provoca la risposta immunitaria: la proteina è estratta direttamente dal virus oppure prodotta artificialmente.

Gli altri tipi

Altri due tipi sono simili fra loro: uno trasporta, attraverso un virus incapace di riprodursi, il materiale genetico del Covid19. L’altro sfrutta come vettore dei geni virali-Covid un virus innocuo, ma in grado di replicarsi nel corpo umano. Infine, gli ultimi due tipi prevedono l’introduzione di virus SARS completamente inattivato o fortemente indebolito in laboratorio. Il famoso Sputnik V russo è a base di “vettore virale non replicante”, come lo Janssen (Johnson&Johnson). Quelli cinesi sono di solito a base di virus inattivato, come il Sinopharm (approvato per l’uso sull’uomo in 27 Paesi, ma in Europa dalla sola Ungheria) e il Sinovac (usato in 19 Stati, tutti extraeuropei).

Il Moderna è a RNA, e utilizzato in 41 Paesi. Curiosamente in India, uno dei pochi Stati in cui la malattia è apparentemente sotto controllo -probabilmente anche per motivi climatici-, vengono usati prevalentemente vaccini a proteine o a virus inattivati (Covaxin e del Covishield).

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Molte speranze

Molte speranze vengono riposte, per motivi forse anche politici, nel vaccino FINLAY-FR-1. Studiato a Cuba. La classifica dei vaccini più approvati (non per forza legata all’efficacia, comunque) vede in testa il discusso AstraZeneca (vettore virale non replicante, 81 Paesi). Tallonato dallo Pfizer (RNA, 79). E, a distanza, dallo Sputnik (Vettore virale non replicante, 55 Stati). Seguono Moderna (RNA, 41), Janssen (vettore virale non replicante, 35) e Covishield (31). Fanalini di coda il cinese RBD-Dimer (a proteina virale), approvato soltanto in Cina e in Uzbekistan, e il “povero” Epivac Corona (stessa tecnologia), che può essere usato solo in Russia e in Turkmenistan.

Una nota maliziosa. Ma come mai i vaccini che costano mediamente di più (quelli a materiale genetico) sono usati molto nei Paesi Occidentali, e gli altri (quelli tecnologicamente più tradizionali e meno costosi) in quelli cosiddetti poveri? “Ai posteri l’ardua sentenza”. Intanto quanti bei vaccini Madama Dorè. Quanti bei vaccini.

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