Il 16 agosto di 43 anni fa, proprio a quest’ora, il mondo si stava interrogando se una delle icone della musica, il re del rock n’ roll, uno dei personaggi più influenti del secondo millennio, avrebbe potuto terminare la sua esistenza terrena, da solo, riverso sul pavimento freddo del suo bagno e con le braghe calate. In realtà The King, all’anagrafe Elvis A(A)ron Presley era morto intorno all’ora di pranzo, o almeno questa è alla versione ufficiale, per un attacco di cuore a soli 42 anni. All’epoca non esistevano i social e la notizia, tra conferme e smentite, impiegò qualche ora per raggiungere tutti gli angoli dell’universo conosciuto.
Inventò un genere e una generazione
Aveva inventato il rock’ n’ roll. E non solo. Per molti fu colui che plasmò a sua immagine e somiglianza una categoria di “giovani”. Una generazione di piccoli uomini in attesa di diventare grandi, ad immagine e somiglianza dei loro genitori. Tanti sono i dubbi e le stranezze messe in giro sulla sua, per alcuni presunta morte, ma ciò che è veramente certo è l’importanza di Elvis nella musica e nella cultura degli ultimi sessant’anni. Prima di lui la musica americana era divisa in tre generi. Rigorosamente ben separati l’uno dall’altro. Nessuno si sarebbe mai sognato di rompere questi confini invalicabili. Il pop (da “popular”, popolare), il country e il rhythm’n’blues dominavano la scena musicale. I primi due rigorosamente “bianchi”, il terzo assolutamente “nero”. Ma poi arriva questo sacramento di un metro e novanta, prende la musica dei bianchi e la fonde con quella dei neri. Oltre alla voce e alla musica usa il corpo. Butta giù barriere e schemi, anzi li infrange. La sua energia, forse anche inconsapevolmente, da forza alle ansie, ma soprattutto alle gloriose speranze di una generazione sopravvissuta al guerra.
The King riscrive la storia
Con Elvis, che se vogliamo dirla tutta è soltanto il mezzo, ovvero l’interprete di canzoni scritte altri, il country del Sud rurale incontra il rhythm’n’blues nato nei campi di lavoro e nelle chiese. Insieme diventano musica da ballo (ma anche da sballo, parola che di certo all’epoca aveva un’altro significato) e da intrattenimento. The King riscrive la storia: anche le classifiche musicali, quelle relative alla vendita dei dischi per intenderci, fino all’epoca del suo avvento divise per generi vengono riunite in un’unica grande graduatoria. Una rivoluzione impossibile da classificare, dunque. Sia per portata che per intensità. Nessuno poteva contenere l’ascesa di Elvis.
Era il 1956. E quell’America uscita vincitrice dalla seconda guerra mondiale si apprestava ad iniziare l’eterno conflitto con l’Unione Sovietica. E «quel suo provocatorio e sin troppo allusivo modo di roteare il bacino», da cui il celebre soprannome “The Pelvis“, non venne accolto favorevolmente dal mondo degli adulti. Ma fu una miccia che, in poco tempo, accese la carica di ribellione dormiente in milioni di giovani corpi e menti. E che aspettava solo un’occasione per poter esplodere.
La musica immortale
Dall’America conquistò nell’arco di un decennio tutto il mondo. Ed anche se negli ultimi anni, ormai grasso, stanco e a volte assente a causa del cocktail di droga e farmaci, lontano, quindi, da quel tornado che rivoluzionò la musica, Elvis non sbagliò mai una nota. Aveva soltanto 42 anni e pesava circa 150 chili quando lo trovarono agonizzante a Graceland. Devastato forse dal peso di un successo che avrebbe schiacciano chiunque, magari anche prima. Un successo che sopravvive alla sua morte e che, nonostante 43 anni, ancora lo vuole Re non solo di un genere musicale, ma di una intera generazione.