Pd, o non Pd, questo è il dilemma.

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In questi giorni hanno tenuto banco le dimissioni del Presidente della Regione Lazio da segretario del Pd. Dimissione arrivate a seguito di una escalation (al contrario) iniziata dalla caduta del governo Conte. Tra le varie motivazioni una unità che è venuta meno indice delle lotte intestine che il partito stesso vive da tempo.

Senza entrare nel merito della scelta di “Zinga” abbiamo cercato di dare voce, nei capitoli che seguiranno, a quello che è il pensiero di uno dei tanti elettori che fino a prima delle ultime elezioni ha supportato il partito democratico. È difficile palesare le sensazioni e soprattutto la percezione che si ha del partito, per farlo è impossibile non fare paragoni con la realtà locale che vive il circolo di Cassino, o ciò che ne rimane.

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L’identità

Dalla metà degli anni ’90, dalla emblematica frase di Nanni MorettiD’Alema di qualcosa di sinistra” sino ad oggi, questo partito ha, per così dire, “bighellonato” e giocato con la propria identità.

Una identità che il partito stesso mai ha potuto definire e soprattutto mai ha voluto definirla. Nella storia di governo di questo partito, infatti, se si vanno a tirare le somme, sono stati più i provvedimenti conservatori che non quelli progressisti. Uno su tutti: l’abolizione dell’Art.18! che insieme all’idea decisamente bislacca di flessibilità del lavoro, introdotta dal Berlusca, hanno messo sul lastrico intere generazioni facendole vivere nella precarietà più assoluta e senza alcun diritto. I più danneggiati certamente quelli che oggi dovrebbero trascinare lo stato fuori dalla crisi economica che ci attanaglia proprio da quegli anni ed ora ancora più aggravata dall’emergenza COVID.

La chiave di lettura

La chiave di lettura è semplice: basta vedere ciò che accade al livello locale, provinciale e regionale. Uno scotto che l’elettore medio ha dovuto subire è senza dubbio l’andirivieni di politicanti provenienti da partiti neanche affini, anzi spesso antitetici. Così come a livello nazionale abbiamo dovuto subire alleanze bislacche o avere esponenti diciamo così “non proprio di sinistra”, a livello locale questa opportunità si è trasformata in un vero calcio mercato. Una situazione ancora più affossata dalla oggettiva conflittualità con gli interessi privati dei vari esponenti. Anche se questa ultima situazione riguarda serenamente tutti i partiti che ci hanno governato fino ad oggi e dove nessuno ha avuto il coraggio di metter mano.

Gli interessi e il radicarsi dei poteri politici nel territorio tramite la gestione non sempre ammirevole di asset fondamentali come la gestione dei rifiuti o quella delle varie aree industriali, alla stregua di un osso conteso tra più cani, ha generato lotte interne e fazioni dove l’ideale politico è di fatto stato messo da parte.

La sofferenza dettata dai personaggi

Solo nella nostra città, cosa impensabile a dirlo, il Partito Democratico dal 2016 subisce questa sofferenza dettata da personaggi che certo non hanno tenuto conto di quale siano i pilastri su cui è fondato il partito e quindi lo statuto dello stesso. Nella nostra zona abbiamo visto l’avvicendarsi di politici come la Di Rollo, esponente di spicco di Forza Italia di Patriciello, Marino Fardelli, ultimo baluardo della vecchia DC cassinate, poi ancora Francesco Mosillo socio in affari con Scittarelli (esponente del cdx) per finire oggi con la nomina a capogruppo di Gaetano Ranaldi (detto Gino) membro storico forse dei socialisti?

Certo non ci si aspetta una seconda Nilde Iotti, ma vedere Barbara di Rollo destreggiarsi alla “festa dell’unità” lascia pensare e non poco. Per non parlare dell’incapacità del partito di prendere posizioni drastiche o quanto meno nette rispetto ai problemi giudiziari di alcuni dei propri esponenti. O degli incarichi passati da enti “para statali” assegnati agli stessi politici.

Pd or not Pd

L’immagine che vien fuori da una situazione frammentaria di questo tipo è che contano solo i voti. A nessuno importa degli ideali, dello statuto o che vengano rispettate alcune linee politiche. Ma soprattutto che il clientelismo rimane ancora il fulcro di questo modo di fare politica. Zingaretti prende atto solo oggi di tutti questi problemi che esistono, come scritto dagli anni 90. “Il malato intraprende la via della guarigione quando comprende di esserlo”.

Al momento non abbiamo un vero partito di sinistra solo tanti “centristi”. Camaleonti pronti a cambiare colore in base al partito dove mettono il naso. Il dubbio amletico rimane ora nelle mani degli attuali dirigenti: “PD or not PD”?

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