Oh Romeo, Romeo, perché proprio tu Romeo?

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Una sciagura? Un tragico destino? Una storia scritta? Colpa dei genitori? Colpa della società? Colpa della droga? Colpa dei videogame violenti? Colpa d’Alfredo?
Da quando quel freddo coltello si è infilato nel sangue bollente di un diciassettenne a pochi metri dal mare tutti stanno cercando il colpevole. Aveva un nome shakesperiano, Romeo, una casualità? Una beffa? Ora niente ha più molto senso. La sua morte è stata una tragedia. Non è giusto, non è accettabile e, soprattutto, non è comprensibile. Un giovane non può morire, non può farlo per mano di un coetaneo, non può farlo in pieno centro. Qui non c’è la guerra, forse.

Proviamo a fermarci tutti

Proviamo a fermarci tutti. Proviamo a prendere fiato, proviamo a immaginare la scena: «Io esco stasera, vado al MC e sto coi ragazzi, ciao ci vediamo». «Non fare tardi e copriti che fa freddo, se chiamo rispondi». Potrebbe essere iniziata così qualche ora prima. Cosa sia accaduto dopo lo sanno i diretti interessati, ma qualche ora dopo a pochi metri dal fast food, dove si sente il rumore delle onde che s’infrangono contro la dura parete nel buio di una serata di febbraio, il sangue di Romeo, bollente, caldo, incandescente. Come solo la vita di un adolescente può essere, quel sangue era sul gelido marmo del pavimento. Così Romeo è morto. Un fendente che non perdona. Il suo amico è rimasto ferito gravemente, il presunto aggressore fermato.

Un tornado di interpretazioni

I giovani vedono troppi film violenti, i giovani non sono più educati, liberalizzate le droghe leggere e questo non accadrà, i genitori sono inadeguati, ci sono pochi controlli, il Covid li ha incattiviti, dovrebbero rimettere il servizio di leva obbligatorio. Un tornado di idee, opinioni, interpretazioni. Ma noi, in fin dei conti, che ne sappiamo? Cosa ne sappiamo di Romeo e dei suoi amici, che ne sappiamo di cosa sia accaduto in quei folli momenti, cosa abbiano provato i genitori di questi ragazzi quando hanno ricevuto quelle terribile chiamata dalle forze dell’ordine, cosa ne sappiamo del passato di tutti i coinvolti? Nulla.

Quello che ci resta, e che è particolarmente evidente, è che viviamo in una società fin troppo fluida, liquida, dove non ci sono filtri. Dove non si conta neanche fino a uno, dove i pensieri corrono più veloci di Bolt e feriscono peggio di un Marines. Uccidono, spietati, cattivi, atroci. Lo vediamo nei commenti sparsi nella rete, lo vediamo negli insulti che giovani e meno giovani si lanciano di persona, lo vediamo nella politica, nelle strade e lo vediamo in un guizzo, quello di una lama di coltello che si infila con arroganza nella vita di un giovane.

Abbiamo perso l’umanità

Indossiamo la maglia con l’arcobaleno e il simbolo della Pace, parliamo di uguaglianza e di inclusione, zio, fratè, amò, tesò, ma abbiamo perso l’umanità, il senso dell’altro, l’idea che chi ci sta accanto possa essere diverso da noi, qualcuno da scoprire e non da eliminare, qualcuno che possa avere amici a cui vuol bene, proprio come noi, o anche fidanzate, padri, cugini. Droga? Ragazze? Insulti? Calcio? Contrasti che sono sempre esistiti ma che ora sono la scusa giusta per svuotarci. Abbiamo bisogno di cacciare la paura, l’inadeguatezza e lo stiamo facendo nel modo più istintivo. Stiamo uccidendo noi stessi, nel riflesso di chi ci sta accanto uccidiamo noi. Siamo bestie con lo smartphone e l’ipad.

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