Dialoghi

Il ritorno di Socrate. Se Sparta piange Atene non ride

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Socrate sollevò mestamente la testa, e mentre chiudeva gli occhi un fremito fece ondeggiare la lunga barba bianca. Il “Gazetòs di Alexiopolis” riportava l’ennesima clamorosa vittoria di Atene sulle malconce e mal condotte truppe di una Sparta irriconoscibile. Anche l’ “Anabasi di Salerafide” confermava: le forze spartane, orgoglio del Peloponneso Meridionale, erano un lontano ricordo, e vagavano allo sbando. Lo stesso Kostakòs, Capo della Propaganda, lasciava circolare voci inquietanti di regolamenti di conti nel governo nemico. In cui tutti in circolo affilavano lunghi coltelli per affondarli alle spalle dei propri commilitoni. Il popolo di Atene, che stava per uscire da una guerra faticosa, veniva sommerso da dispacci contraddittori che i messaggeri recavano al Palazzo.

Unione e unità vincono sempre

«Unione e Unità vincono sempre!», aveva dichiarato lo stesso Salerafide affacciato al balcone dell’Areopago davanti a una folla stranamente imbambolata. Pensieroso, Socrate prese la consueta tazza di kykeon e si accingeva a sorbire la bevanda, quando colpi imperiosi si udirono alla porta. Si alzò lentamente, aprì e si ritrovò davanti Salerafide in persona, accompagnato da Elena, Kostakòs e da uno scriba pronto a raccontare l’evento ai suoi lettori. «Ma guarda, mi apre il vecchio Socrate in persona! E sta bevendo, il vegliardo!». Si girò, e una risata malefica risuonò nell’aria. «Chissà che non debba presto cambiare bevanda, vero, Kostakòs?». Di nuovo risate sguaiate.

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I drammi del suo campo

«Allora, vecchio! Che ne pensi della mia straordinaria tattica? Ho diviso l’esercito nemico. Ho scelto io chi attaccare e chi no. Ho fatto credere agli Spartani che erano immersi nel tradimento. Un colpo di genio! Avremmo perso questa guerra, se non si fossero scannati fra di loro, quegli sciocchi. Fortunatamente la loro stupidità è pari alla loro aggressività e presunzione. E quindi li ho liquidati, una volta per sempre. E ora, Atene resterà mia, senza avversari!».

Un applauso isterico corse nell’aria, con urla di giubilo e gaudio. Socrate squadrò prima Kostakòs, poi Elena e il giovane scriba. Infine, il suo sguardo si posò fisso negli occhi di Salerafide: «O Salerafide, in questo senso sei un duce eccelso, non posso negarlo. Nei secoli dei secoli si potrà parlare dei pianti dell’orgogliosa Sparta, battuta nella guerra e nell’astuzia da Salerafide. Non c’è dubbio su questo. Ma non potrai tenere nascosti i drammi del tuo campo».

Makkarios e Paolòs il Giovine

Socrate interruppe con un cenno imperioso della mano l’obiezione che stava per nascere: «Se Sparta piange, la tua Atene non ride. Quanto a lungo potrai celare le tenebre che si accumulano sul tuo governo? C’è l’Arcivescovo Makkarios che scalpita. E non digerisce la tua azione: non manca mai di marcare la distanza fra lui e la tua parte. Eppure siede nel Gran Consiglio dei Sette con te. C’è Paolòs il Giovine, che ti ha lasciato anzitempo. E credi che nessuno alberghi sospetti nel suo cuore, di fronte a un fatto così inopinato? Non credi -continuò fermo il filosofo- che il popolo, anche davanti a grandi vittorie, si chieda perché tu, così loquace, diventi timido e silenzioso se ti rimproverano certe amicizie?»

Troppi soldatini

Salerafide, improvvisamente paonazzo, replicò: «Che pensino ciò che vogliono! Loro hanno perso, sono gli Spartani ad avere amicizie imbarazzanti, come la tua». «Non è così -lo interruppe Socratee tu lo sai. Perché, o notabili della fazione popolare, non vi mettete d’accordo su chi debba rappresentare il vostro partito nella vittoriosa Atene? Avevate la possibilità di costruire un grosso Ponte, e l’avete gettata al vento, come una fionda lancia via un sasso veloce. Ci sono troppi soldatini in mezzo a voi, che dei piccoli Fanti potrebbero spazzare via, e l’ubriacatura di questa vittoria momentanea è destinata a durare lo spazio di un caldo pomeriggio estivo». Kostakòs proruppe: «Amici, compagni, questo è tradimento! Costui non apprezza la gloria di Salerafide! Socrate non parla da cittadino di Atene!»

Il vecchio replicò calmo: «È vero. Sono un cittadino, ma non di Atene o della Grecia, ma del mondo. La strada più vicina alla gloria non è vincere dividendo, ma è di lottare per essere quello che ti auguri di venire considerato essere». Elena disse: «Ma cosa credi, vecchio? Di essere l’unico capace di suonare una lira e di dirigere un’orchestra?»

La guerra è ancora lunga

«Al contrario! Io credo, o carissima, che sarebbe meglio che la mia lira fosse scordata e stonata. E che lo fosse il coro che io dirigessi, e che la maggior parte della gente non fosse d’accordo con me e mi contraddicesse, piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, ad essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi». Era troppo. Salerafide urlò schiumando: «Ti piaccia o no, barbone, sono io che ho buttato la discordia nel campo nemico, e sono io che ho il potere nelle mani ad Atene!».

Socrate lo guardò ancora negli occhi: « Re o governanti non sono coloro che portano con sé uno scettro, ma quelli che sanno comandare. Tu, sai comandare? Ricorda che non c’è nulla di stabile negli affari umani. Quindi evita una indebita esaltazione nella prosperità, o una indebita depressione nell’avversità. È ciò che anche gli Spartani sanno. Risolvi i tuoi problemi, e Atene forse smetterà di piangere. Le guerre sono lunghe. Non si chiudono con una battaglia». Fermamente, il vegliardo chiuse la porta.

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