Combatte con un tumore e l’azienda decide di metterla in ferie forzate fino alla scadenza del contratto

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Questa è la storia di una ragazza, una donna, una figlia, un’amica. Margherita (nome di fantasia) ha ricevuto solo pochi mesi fa una notizia che si è abbattuta come una mannaia sulla sua vita, la peggiore: quella pallina che sentiva nel seno non era una semplice cisti ma un maledetto tumore. Da quel giorno la corsa contro il tempo, analisi, esami, cicli di chemioterapie. Spese impreviste, cifre importanti, la paura di non farcela.

Nel trambusto e nella violenza che la malattia porta nella quotidianità le arriva una chiamata per un colloquio di lavoro. La giovane, laureata in giurisprudenza, si presenta al colloquio. Certo la mansione non era proprio perfetta per le sue competenze, ma perché no, l’azienda ha mostrato interesse nei suoi confronti e lei, in quel momento così difficile della vita, ha intravisto la possibilità di una fetta di “normalità”. Così, volendo essere del tutto sincera, ha spiegato in sede di colloquio quali fossero i suoi problemi di salute, che andava incontro oltre ai cicli di chemioterapia, anche ad un intervento molto importante. Ma niente di tutto questo è apparso come limite e la ragazza è stata assunta, a tempo determinato ma è stata assunta.

In questi mesi Margherita ha lavorato, ha continuato a vivere al meglio la sua vita, certo qualche giorno la malattia, gli effetti della chemioterapia, e qualche doloretto l’hanno costretta a casa, a letto. Ma la forza di volontà a volte può fare davvero la differenza. Così non è mai venuta meno ai suoi impegni lavorativi.

A metà marzo è arrivata la chiamata dal Gemelli, e il 25 è stata sottoposta ad una mastectomia bilaterale con ricostruzione e svuotamento ascellare. Dopo un intervento così invasivo, il suo desiderio era quello di rientrare gradualmente al lavoro, forte anche di un certificato medico di sette giorni. Ma la ragazza non aveva fatto i conti con la gestione dell’azienda. Proprio dall’azienda era stata contattata il 31 marzo sul perché non fosse alla sua scrivania, considerato che aveva mandato un primo certificato di malattia fino al 30. La ragazza era ad una visita di controllo nell’ospedale capitolino. Al termine del controllo specialistico il medico ha disposto altri sette giorni di malattia con necessità di riposo. Ma il 2 aprile, durante la malattia che sarebbe poi scaduta l’8 aprile, le arriva una comunicazione: le è stato notificato il suo immediato collocamento in ferie forzate a partire dal 9 aprile, e fino all’inesorabile scadenza del suo contratto, fissato per il 24 aprile.

La giovane è rimasta senza parole per quanto accaduto. “Sicuramente l’azienda ha diritto di non rinnovarmi il contratto, a scadenza naturale. Fino ad allora però ho i miei diritti, come la malattia, i tre giorni di 104 mensili che mi spettano, eventuali permessi retribuiti. Sicuramente non posso essere collocata in ferie forzate se di fatto sono in malattia. E se posso voglio lavorare”.

Una situazione incresciosa che priva di dignità la lavoratrice, perché di questo stiamo parlando. Una lavoratrice assunta quando già il datore era a conoscenza delle sue problematiche di salute e che rientrava quindi in una categoria particolare. Una lavoratrice che, anche a ridosso di estenuanti cicli di chemioterapia, ha continuato a fare il suo dovere. Una lavoratrice che molto probabilmente sarebbe potuta essere collocata anche in smart working per permetterle di recuperare le forze. Una lavoratrice che ha ancora vita da vivere.

“Tra qualche giorno sarei potuta tornare a lavoro, ed era questo che avrei voluto fare. Anche fino a scadenza, anche senza rinnovo. Perché è un mio diritto lavorare. Anche se per soli 8 giorni. Questo è lesivo nei confronti della mia dignità. Ce la sto mettendo tutta per guardare avanti, quando arriva una diagnosi come la mia non sai cosa pensare, non sai cosa ti aspetta, non sai quanto tempo hai. Cerchi di fare tutto al meglio, di dare tutta te stessa per quel briciolo di normalità che in tanti danno per scontato. E il lavoro fa parte di tutto questo. Invece mi stanno togliendo la possibilità di poter fare quello che dovrei fare di diritto”. Per poter essere meno “impattante” anche sul posto di lavoro la giovane ha deciso di indossare una parrucca realizzata su misura che replicasse la sua pettinatura. Per non recarsi sul posto di lavoro con cappelli, turbanti o copricapi. Una spesa importante che ha voluto fare nell’ottica di continuare a vivere quella quotidianità di un tempo senza essere sottoposta a sguardi e frasi di circostanza.

Una grande frustrazione quella vissuta dalla ragazza che non trova giustificazione alcuna.

A raccogliere l’appello della giovane cassinate che lavora presso un’azienda del territorio -ancora su carta fino al 24 aprile – è il consigliere Carmine Di Mambro che non ha esitato a definire l’accaduto uno scandalo. “È semplicemente abominevole e inqualificabile il modo in cui questa donna, provata dalla malattia e da un intervento così demolitivo, sia stata privata del suo diritto alla malattia e costretta alle ferie!”. “Siamo di fronte a una gravissima mancanza di sensibilità e a una palese violazione dei diritti fondamentali di un lavoratore, ancor più in una situazione di così acuta vulnerabilità. Porterò questa vicenda all’attenzione di tutte le sedi opportune affinché – dice il consigliere comunale – sia fatta giustizia e, soprattutto, affinché un episodio così vergognoso non debba mai più ripetersi. È nostro dovere morale e civile tutelare la dignità di ogni persona, soprattutto quando si trova a combattere battaglie così difficili per la propria salute”. “Questo è un campanello d’allarme sulla necessità di una maggiore tutela per i lavoratori malati e sulla responsabilità sociale delle aziende, chiamate a dimostrare umanità e comprensione, soprattutto di fronte alla sofferenza” conclude Di Mambro.

Margherita affronta la vita giorno dopo giorno, qualcuno sorride facendo battute sulla “fortuna” di avere un seno nuovo. Altri la rassicurano “tanto poi c’è la disoccupazione”. Ma alla fine a fare i conti con un corpo ferito, sottoposto a interventi, cure, drenaggi, chemioterapie e dolori costanti è lei. Che guardandosi allo specchio si cerca, cerca quella che era fino a qualche mese fa. Cerca quella fiamma che possa illuminare il suo futuro. “Non so davvero cosa mi aspetta, oggi ci sono, magari a Pasqua non ci sarò più. Non calcolo più il tempo come facevo prima, come fanno tanti. So che voglio lavorare, so che il mio corpo non è più lo stesso e non lo sarà mai più. So che voglio restare indipendente, che voglio correre, sudare e allenarmi. Ma so che non sarò più solo io a decidere, i miei sogni si incastrano con una malattia che ha invaso la mia vita, ma che non può e non deve condizionarmi. Nessuno può decidere se collocarmi a casa, se farmi stare ferma in un letto, non sono terminale e finché mi sarà possibile continuerò a fare ciò che mi fa stare bene. Questo vale per me e per tutti gli altri malati oncologici che spesso vengono trattati come lavoratori di serie B, come cittadini di serie B, come uno “sgravio fiscale”, come una “quota da assumere”. Non è così.”

Margherita potresti essere tu che leggi, tua sorella, la tua migliore amica, la vicina di casa. Tua figlia. Non sta chiedendo la luna nel pozzo, non vuole un “regalo”, non vuole ingaggiare battaglie legali. Vorrebbe solo che il rispetto e la dignità per il prossimo siano garantiti, anche quando a far parte del “gioco” c’è la malattia. Noi le auguriamo di guarire e di continuare a correre e allenarsi. E speriamo che questo resti un episodio isolato, una brutta pagina occupazionale di un territorio che paga già il prezzo di molti, troppi, soprusi.

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