Cinque anni fa moriva Gabriel Feroleto. Un dolore senza fine

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Era il 17 aprile del 2019, un pomeriggio come tanti. Era un mercoledì. Il clima era caldo, mancava qualche giorno a Pasqua, c’era un bel teporino. Quello sarebbe stato l’ultimo giorno di vita per il piccolo Gabriel Feroleto, un bimbo di poco più di due anni. Gabriel non lo sapeva, probabilmente il suo sguardo cercava farfalle e formichine da seguire, i volti conosciuti, un abbraccio amorevole. Aveva solo due anni. Un bimbo come tanti che amava le merendine al cioccolato e le macchinine. Una grande passione per i vigili del fuoco. Un bimbo dolce, un figlio. Chissà cosa avrebbe fatto Gabriel da grande? Chissà che adolescente, giovanotto, uomo sarebbe diventato? Gabriel non ha vissuto il primo giorno di asilo, il primo giorno tra i banchi della prima elementare. Passa il tempo, il vuoto non si riempie. Perché con la morte di Gabriel Feroleto si è creata una voragine in un territorio intero. In una nazione.

Quel mercoledì iniziato con un bel sole e un vento caldo, si è rannuvolato e nel pomeriggio, con il corpo del piccolo steso sul cemento davanti casa, la primavera ha lasciato spazio all’inverno. Dal cielo ha iniziato a scendere una pioggia sottile e freddissima. Una di quelle che si “infilano” sotto la pelle, fin dentro le ossa.

Era così esile Gabriel, un bimbo leggero che dimostrava molto meno dell’età che aveva. Gli è stata tolta ogni possibilità, di ridere, di giocare, di cadere, di imparare ad andare in bici. Di imparare a leggere e a scrivere, di vivere la prima cotta, di innamorarsi. Il peso dell’indifferenza, lo sguardo di molti volto altrove, un tragico destino. In un istante, in un tiepido pomeriggio primaverile, la luce è diventata buio. Non solo per Gabriel.

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