Montecassino, a Santa Scolastica Donato Ogliari saluta tutti

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L’Abate Donato, Abate di San Paolo fuori le mura in Roma e Amministratore Apostolico di Montecassino, ha presieduto questa mattina la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Cattedrale in occasione della Solennità di Santa Scolastica sorella di San Benedetto.
È stata anche occasione per salutare le autorità e i tanti amici che nei quasi otto anni di abbaziato a Montecassino gli sono stati sempre accanto con la loro presenza e il loro sostegno.

L’Abate Donato, infatti, terminerà il suo incarico come Amministratore Apostolico di Montecassino con l’insediamento del Rev.mo Abate Antonio Luca Fallica, nominato da Papa Francesco abate di Montecassino il 9 gennaio 2023.

L’omelia in occasione di Santa Scolastica

«In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “44Il regno dei cieli è simile a un tesoro
nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia,
vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose;
46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra»
Sulle prime le similitudini impiegate da Gesù per descrivere il Regno dei cieli paiono contraddirsi. Da una parte, infatti, vi è un uomo – verosimilmente un contadino – che, mentre lavora nel campo, trova accidentalmente un tesoro. Dopo averlo nascosto, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Dall’altra vi è un mercante che, guidato dal proprio fiuto, va alla ricerca di perle preziose, finché, trovatane una di grande valore, vende tutti i suoi averi e la compra.
Mentre, dunque, il contadino trova il tesoro per puro caso, il mercante si mette intenzionalmente alla ricerca di perle preziose. Quello che entrambi hanno in comune è la vendita dei propri averi finalizzata rispettivamente all’acquisto del campo e della perla di grande valore.
Che cosa rappresentano questo tesoro e questa perla preziosa che si trovano dopo aver fatto percorsi diversi? Fuor di metafora essi rappresentano l’incontro decisivo e totalizzante con la persona di Gesù e con il suo Vangelo.
Tale incontro – come indica la prima similitudine – può verificarsi in maniera inaspettata e gratuita, come risultato dell’iniziativa del Signore stesso che interviene nella trama della nostra storia; si pensi, ad esempio, alla conversione sulla via di Damasco di Saulo, persecutore dei cristiani divenuto poi Paolo, il grande Apostolo delle genti.


Il più delle volte, tuttavia – e in maniera meno roboante –, l’incontro con il Signore avviene quale risultato di una ricerca che passa attraverso le innumerevoli occasioni di cui il Signore si serve per incontrarci al cuore della nostra vita, per il tramite delle persone che incontriamo o delle situazioni che viviamo. Santa Teresa d’Avila diceva che il campo nel quale il Signore si fa trovare spesso passa “tra le pentole della cucina”. Il Signore, cioè, si fa trovare tra le pieghe della nostra quotidianità, che – di fatto – è e rimane il luogo ordinario nel quale Egli vuole essere cercato.
Dal primo caso, quello del contadino che scopre fortuitamente il tesoro nel campo, traiamo dunque anche l’insegnamento che Dio non si merita in virtù dei nostri soli sforzi, tant’è che a volte è la sua gratuita iniziativa a soddisfare i nostri aneliti più veri e più belli.
Il secondo caso, invece – quello del mercante di perle preziose –, ci rammenta l’importanza dell’essere mendicanti dell’Assoluto, sinceri cercatori di Dio, perché così facendo possiamo dare un senso pieno al nostro vivere. Lo sapeva bene san Benedetto, il quale indica nella diuturna ricerca di Dio l’elemento portante della vita monastica, ricerca che passa attraverso la sequela di Gesù, «via, verità e vita» (Gv 14,6), e che «avanza non per co¬strizione, ma per forza di attrazione, per una passione che sgorga dall’aver trovato la bellezza di Cristo e del mondo co¬me lui lo sogna». «La vita umana non è statica, ma movimento, esodo da sé, desiderio di unirsi all’og¬getto d’amore» (E. Ronchi), il Cristo di Dio.
Una siffatta ricerca impedisce che ci si affidi a ricette preconfezionate che finiscono con lo sterilizzare l’anima e privarla di quell’energia vitale che – non solo per il monaco, ma per chiunque voglia dirsi cristiano – si chiama fede. È da quest’ultima, infatti, che il credente trae ispirazione per le proprie decisioni, ed è grazie ad essa che egli trova l’ardire di esplorare vie inedite che, alla luce della fede e della Grazia di Dio che la illumina e la sorregge, lo conducono oltre la mediocrità di ciò che è scontato, del dejà vu.

Emblematico al riguardo è l’ultimo incontro avvenuto tra san Benedetto e la sorella santa Scolastica, tre giorni prima della morte di quest’ultima. Rileggiamo alcuni passaggi di quell’episodio – l’unico in cui si parla di santa Scolastica – e assaporiamo la freschezza del suo insegnamento.
Benedetto e Scolastica si trovavano nel luogo dove una volta all’anno solevano incontrarsi e – continua il loro biografo san Gregorio Magno –
«mentre erano a mensa e parlavano di cose spirituali, si fece tardi. La santa sorella gli chiese: “(…) Rimaniamo qui fino a domani mattina, parlando delle gioie del Cielo”. Benedetto le rispose: “Ma che dici, sorella mia? Io non posso rimanere fuori monastero”.
In quel momento il cielo era terso, senza nuvola alcuna. Allora la pia donna, udito il diniego del fratello, pose sulla tavola le mani con le dita intrecciate e vi chinò il capo mettendosi a pregare il Signore onnipotente. Pochi istanti dopo, appena sollevò il capo dal tavolo, si scatenò tale tempesta di lampi e tuoni con un diluvio di pioggia tale che né il venerabile Benedetto né i fratelli presenti avrebbero potuto metter piede fuori della casa dove si trovavano. (…)
L’Uomo di Dio, vedendo che fra lampi, tuoni e pioggia a dirotto non gli sarebbe stato possibile rientrare in monastero, se ne rattristò e disse, rivolgendosi alla sorella: “Sorella mia, Dio onnipotente ti perdoni! Che hai fatto?”. Essa gli rispose: “Ecco, ho pregato te e tu non mi hai voluto ascoltare. Ho pregato il mio Signore ed egli mi ha esaudito. Adesso, se te la senti, esci pure, lasciami e torna al monastero”. Così (…) trascorsero vegliando la notte intera e si saziarono a vicenda parlando di argomenti spirituali. (…)
Nessuna meraviglia, quindi – commenta Gregorio Magno –, che una donna, bramosa di rivedere dopo lungo tempo il fratello, sia stata più potente di lui. Infatti, secondo la parola di Giovanni, “Dio è amore” (cfr 1 Gv 4, 8). Perciò, giustamente, poté di più colei che amò di più – Illa plus potuit quae amplius amavit!» (S. Gregorio Magno, Dialoghi II,33).
Scolastica sa leggere i fremiti più genuini del cuore in una forma superiore, quella che – senza disprezzare la legge – coincide con l’amore che sgorga dal cuore stesso di Dio, quello stesso a cui Scolastica ha dato il primato. Ed è alla luce di questo primato che gli occhi interiori del cuore sono abilitati a vedere ciò che rimane invisibile alla sola ragione.
L’episodio sopra riportato e riguardante l’ultimo incontro tra Scolastica e Benedetto spinge ciascuno di noi a valutare ciò che effettivamente mettiamo al centro della nostra vita. Mentre Benedetto appare come imprigionato entro le fitte maglie della legge che egli stesso aveva formulato, Scolastica mostra di saper volare alto.


Nella seconda lettura l’apostolo Giovanni, dopo aver affermato che «Dio è amore», ci fa intuire che l’amore che ha guidato Scolastica, e al quale anche noi siamo chiamati ad aderire, si configura come

– un amore totalmente gratuito;
– un amore paziente e misericordioso, pronto a perdonare e a ridare fiducia e speranza;
– un amore compassionevole, capace di solidarietà e di condivisione;
– un amore che, senza discriminare, predilige gli ultimi, i poveri, gli emarginati;
– un amore che si spinge fino ad amare anche i nemici;
– un amore che si coniuga con la verità (non quella che ci cuciamo noi su nostra misura), con la giustizia (non quella fai-da-te, ma quella che si basa sull’equità e la solidarietà), con la pace (non quella che coincide con la mera assenza di guerra o che è frutto di omologazione, ma quella che nasce da un cuore pacificato e pacificante)!

Infine, l’ultimo incontro di Benedetto e Scolastica insegna qualcosa anche sull’importanza che il dialogo riveste nelle nostre relazioni interpersonali. Ci insegna che il dialogo, per essere fecondo, deve passare – come si esprime un teologo moderno – dal «dialogo dialettico» – quello nel quale ci si confronta con la diversità di opinioni – al «dialogo dialogico» (Raimon Panikkar).
Al di là della tautologia, per «dialogo dialogico» intendiamo quel processo che avanza – anche quando si presenta arduo e incerto – perché sostenuto da una grande forza d’animo, una forza morale e spirituale che permette di intravedere una soluzione che componga le divergenze e spalanchi la strada a nuovi esiti e nuovi percorsi.
Questo, naturalmente, vale per ogni ambito del nostro vivere, per ogni situazione dove sperimentiamo conflitti piccoli o grandi, sia nel campo ecclesiale che in quello sociale e civile. Infatti, la ricerca dell’unità, della giustizia e della pace non sono appannaggio del mondo ecclesiale o religioso in genere, ma appartengono alle aspirazioni naturali che albergano nel cuore di ogni essere umano. In fondo, il criterio per definire il valore o il disvalore di una vita umana consiste nella capacità di aprirsi o meno all’altro nella condivisione fiduciosa, rispettosa, empatica. Ciò che per noi cristiani è avvalorato dal “comandamento dell’amore” lasciatoci da Gesù.
Santa Scolastica ci aiuti a rinvigorire il nostro cammino con la forza inesauribile dell’Amore di Dio! E così sia.

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