Cassino, Pietro si racconta: “La solitudine fa male, non lasciate soli i disabili”

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In una società che corre e insegue luci e bagliori che spesso si rivelano fatue scintille, speso si ignora il fuoco che divampa poco distante da noi. Capita di lasciar andare rapporti, sorridere per educazione o trascurare amicizie per motivi che neanche noi sappiamo più quali siano. Pietro Iozzia lo conosciamo un po’ tutti, ha raggiunto grandi risultati nella sua giovane vita. Ma anche dovuto fare i conti con dolori troppo grandi per un ragazzo. Guidato dalle sue mille passioni e da un fervore unico che lo contraddistingue, ha voluto lanciare un appello. Parole forti e vere che arrivano dritte al cuore e che ci obbligano a riflettere. Noi le abbiamo ricevute e lette come si leggerebbe la lettera inaspettata di un amico che ti sveglia dopo un torpore. E che per farlo ti tira uno schiaffo forte, in pieno viso.

Il cuore grande di Pietro

“Ciao Paola e ciao a tutti i lettori,

innanzitutto voglio ringraziarti per avermi dato l’opportunità di comunicare delle cose che ho dentro da molto tempo e che non ho mai avuto il coraggio di dire. Cose che magari con l’aiuto della scrittura mi usciranno più facilmente.

Sono Pietro Iozzia, un ragazzo ( forse non più ) di 35 anni che vive a Cassino, Caira per la precisione. Costretto dalla nascita a vivere in compagnia di una bella sedia a rotelle di cui avrei fatto volentieri a meno. Ma nonostante questo la mia infanzia, adolescenza e gran parte della mia vita sono state felici e serene.

Negli ultimi anni, poi, ho avuto la fortuna di realizzare delle cose che, fino a qualche anno fa, erano impensabili per me, come fare teatro. Scrivere addirittura una commedia teatrale, recitare nel cinema ed essere inserito nel Nuovo I.M.A.I.E. come attore professionista. Poi è arrivato il Covid e la vita, la mia, ma quella di tutti noi si è fermata. La differenza però che la mia fa fatica a riprendere, forse anche perché nell’ultimo anno ho subito la perdita più grande che una persona nelle mie condizioni può avere: la perdita della mamma.

Da quel momento sono piombato in un vortice di solitudine e mancanza di stimoli necessari a riprendere in mano la mia vita. Solitudine che però, quasi tutte le persone che fino a qualche tempo prima mi stavano intorno, hanno accentuato abbandonandomi un po’ a me stesso. Proprio nel momento in cui avevo più bisogno di essere aiutato. Attenzione, non voglio incolpare nessuno, anzi forse la colpa principale è mia nell’essermi forse isolato. Ma il mio rammarico più grande è che nessuno, ad eccezione di qualcuno, abbia capito il mio malessere. E soprattutto non abbia capito che in quel momento, la cosa più importante per me era semplicemente un abbraccio o un po’ di compagnia. Invece per troppo tempo la mia casa è stata vuota. Vuota come vuoto è stato il mio cuore per tanto, troppo tempo.

Questa breve lettera l’ho voluta scrivere per due motivi: il primo è semplicemente sfogarmi un po’ del mio malessere. Il secondo motivo è sensibilizzare, per quanto possibile, le persone a non abbandonare a se stessi i propri amici o parenti, soprattutto se hanno una condizione di disabilità, lieve o grave che sia; noi disabili non chiediamo nulla, chiediamo solo un po’ di amore, ma soprattutto compagnia. Grazie veramente di cuore a chi ha avuto la bontà e voglia di leggere questo mio sfogo”.

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