“Siam tre piccoli porcellin/siamo tre fratellin/Mai nessun ci dividerà/trallalla lallà”… Ah, no: chiediamo scusa, questa è un’altra favola, immortalata anche da Disney molti anni fa. C’era una volta, all’interno di una fattoria e in un recinto ai piedi di un monte e ricavato al centro e a destra delle sue pendici, un Orso, di nome e di fatto: alto, imponente, dal carattere ombroso. Era arrabbiato, e rintanato in un angolo costruiva nella sua mente pensieri immaginari. Il più frequente era quello di essere a capo dell’intero recinto e di comandare tutti gli animali. Per quanto agitati, erano sogni bellissimi, quelli dell’Orso che bramava rivincite, brandiva scettri, intimava disposizioni.
L’orso e il leone
Il suo cruccio più grande, però, era che da qualche tempo chi tentava di spadroneggiare era un giovane Leone rampante, calato direttamente dai castagneti più profumati della cima. Il Leone non ne voleva sapere di eseguire gli ordini dell’Orso: ci parlava (ogni tanto), lo ascoltava (ancora meno), poi faceva quello che gli pareva. “Se sono il Re della Foresta -pensava-, forse che non posso diventare il capo di una misera fattoria? E non mi si deve obbedienza in questo bel recinto?”.
Un re tutto nuovo
L’Orso, convinto di poter battere il Leone, cercava alleati a destra e a manca; li invitava a cena nella sua grotta, ma -poiché di rado poteva offrire carne fresca- le ghiande e la poca frutta sul tavolo non attraevano molti commensali. Quei che partecipavano intervenivano solo per cortesia. A sua volta il Leone, per non essere da meno, tra uno dei suoi viaggi e il successivo emanava editti, proponeva modifiche, interrogava tutti: con uguale fortuna a quella dell’Orso, perché pochi gli davano retta.
Aveva un bel dire che lui era un Re tutto nuovo; che la fattoria aveva bisogno di aria fresca; che per rifare il recinto serviva novità. Tutti annuivano, ma ognuno faceva come gli pareva. Nella fattoria, ma soprattutto nel recinto, ormai era un caos: nei giorni pari, comandava l’Orso; nei giorni dispari, il Leone; la domenica era tana libera tutti. Finché un giorno passò di lì una Volpe anziana, ferita, zoppicante. Fu accolta nel recinto con diffidenza; l’Orso neanche le voleva parlare: “Con questa qui non prendo neppure un caffè!”, tuonava.
La proposta
La Volpe si fece comunque raccontare quello che succedeva nel recinto. Ascoltò con attenzione, poi convocò al suo capezzale l’Orso e il Leone. Con voce flebile disse: “Vedo che voi due non riuscite ad andare d’accordo. Eppure ognuno di voi ha i meriti per essere il Comandante assoluto del recinto! Ma gli altri animali non vi vogliono seguire. Facciamo così: io, come vedete, sono malridotta. Non so se riuscirò ancora a vivere a lungo. Potreste eleggere me come Comandante e nel frattempo lavorare per allargare il vostro consenso. In fondo, vi basta conquistare un animale più dell’altro, per diventare Capo. Una sola cosa vi chiedo, per finire la mia carriera in bellezza: che la nomina che mi farete sia a vita. Vi prometto che non ve ne pentirete”.
Lo scintillio dei denti
L’Orso e il Leone si guardarono, e trovarono equa la proposta: entrambi erano certissimi di usare quel poco tempo per volgere la situazione a loro vantaggio. Subito proclamarono la Volpe Regina a Vita del Recinto, aspettando la sua fine. Ma, mentre la Volpe veniva incoronata, il suo flebile respiro divenne più forte; le sue zampe si piantarono salde a terra; la sua bocca ansimante dischiuse due file di denti affilati in un sorriso terribile. Con un potentissimo colpo di coda fece ruzzolare l’Orso e il Leone in una gabbia. Poi li guardò, e disse: “Siete dei ragazzini incapaci. Non potrete mai vincere se non lo vorrò io. Vanità: decisamente il mio peccato preferito”. Dopo di che, l’astuta Volpe fece sedere di nuovo tutti a tavola. E questa volta tutti apprezzarono il pasto, ipnotizzati dallo scintillio dei denti del rossiccio animale.
Seh Pho Fah