La mia passione per la montagna, la neve e lo sci proviene dall’anima di mio padre. Quello che da genitori si trasmette viene tramandato, a volte carpito e catturato dall’anima dei figli. Come se esistesse un vero e proprio processo osmotico. Come le passioni anche i sentimenti. Dai genitori si impara ad amare, a pensare e sognare, ma anche a lottare ed odiare, anche quest’ultimo è un sentimento direbbe mio Nonno Sergio.
I sogni di un bimbo
Quando ero ragazzino, fra i tanti sogni, ne ho avuti diversi predominanti ed alcuni anche bislacchi. Fra questi quello di poter sciare su Montecassino e su Monte Cairo. Probabilmente sogno innestato alla “Inception maniera” durante quella storica nevicata che vi fu nel cassinate nell’inverno ‘84/85. Non ricordo Di Caprio, ma il pupazzo di neve gigante fatto sul terrazzo dei miei zii in via Verdi non solo lo ricordo, ne ho ancora conservate le foto. Come le giornate a seguire passate a scendere con lo slittino la discesa del cimitero polacco.
Monte Cairo invece è sempre stato lì, sornione, con quella lista bianca che ne caratterizza l’aspetto e lascia immaginare quella linea perfetta che tutti i freeriders cercano nelle proprie avventure. Fino a quando….
Il racconto
È primo pomeriggio, rientro da lavoro, il tempo di abbracciare la mia piccolina, una vibrazione mi indica che qualcuno mi sta chiamando. Dall’altra parte del telefono la voce del mio compagno di avventura che farfuglia alcune frasi di cui ne comprendo il senso e recepisco alcune parole: Monte Cairo e tazza.
La prima facilmente ricollegabile a ciò che si stava prospettando, ma l’altra rimane incomprensibile…Ma la fiducia è tale che prendo una tazza dei Mini Pony della mia piccolina e l’attacco al moschettone dello zaino. È pieno inverno, è nevicato fino al giorno prima, il meteo concede una piccola tregua di alcune ore. La zona gialla imposta da questa flagellante pandemia permette di incontrarci nella piazza più alta del borgo di Terelle. Il tempo di metter su gli scarponi e attaccare gli sci ed è già notte.
L’inattività si fa sentire
Imbocchiamo lo stradello che ci porta ai piedi proprio di quella lingua bianca ben visibile dalla nostra città. La fatica si fa sentire sin da subito, è inizio stagione, i vari lockdown e l’inattività da essi derivata si fa sentire. Nonostante il freddo, scorre sul viso qualche goccia di sudore. Le luci del paesino si allontanano, ma il candore della luna riflessa nella neve lascia abituare l’occhio all’oscurità. In fila, seguiamo la strada che abbandoniamo da lì a poco per iniziare a scalare la vetta. È questo il momento che nella mia testa si materializza il sogno che si sta realizzando. Ma la strada è ancora lunga.
Kalipè, passo lento e corto
Kalipè, passo lento e corto, direbbe uno sherpa. Prendiamo il pendio di petto, la montagna la conosciamo centimetro per centimetro, ne conosciamo la pendenza in ogni singolo punto. Tanta fatica, sin dall’attacco, ma tengo duro. Testa bassa, passo lento e corto, alcune virate mi permettono di allentare la pendenza e recuperare il fiato. Intorno il silenzio ovattato dal manto nevoso e la valle mi osserva in quella immancabile coltre di nebbia e smog. Si torna a salire, nella neve distinguo le orme di un lupo che tagliano il pendio. Le seguo con lo sguardo e decido di seguirle anche con gli sci. Un consiglio velato di un maestro della sopravvivenza. Le stesse mi conducono nei pressi di alcune rocce sparse, ritrovandomi su un lato della montagna decisamente meno pendente. Mi porto in cresta in modo da evitare la “cornice” di neve formatasi durante le forti nevicate dei giorni precedenti e lentamente continuo l’ascesa. I miei compagni mi precedono a poca distanza. Dopo un paio d’ore di cammino uno dei due richiama la mia attenzione: ci siamo!
L’animo forgiato da queste terre
Accendo la mia torcia da testa per capire dove è la Croce. Un vento gelido mi accoglie, riprendo fiato, abbasso l’alzatacco che mi permette una posizione più agiata sullo sci e raggiungo i miei amici. Estasiati contempliamo l’inconsueto panorama. La notte, il buio sono cose che ci affascinano sin da bambini. C’è ancora chi lo teme e chi invece trova in esso la pace dei sensi. Nella mia testa le endorfine mischiate con l’adrenalina fanno il loro lavoro. Imprimono addosso ogni singolo particolare di quella che si è appena concretizzata: l’avventura di un non più bambino con l’animo forgiato da queste terre.
Spengo la luce, nei pressi la grossa croce di ferro, mi tolgo lo zaino e vedo la piccola tazza dei Mini Pony, il tempo di alzare lo sguardo ed il mio compagno di avventura, amico di sempre, Lorenzo con voce soddisfatta: «che dici Sè, ce lo siamo meritati un Thè?»