Covid19: Quando tornare indietro è impossibile

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E’ passato un anno. La seconda Pasqua pandemica. Dodici mesi e un po’ di più trascorsi ad aspettare il giorno della libertà, il ritorno alla tanto agognata “normalità”. Ma più il tempo passa e più la luce in fondo al tunnel sembra allontanarsi. Un Paese in ginocchio, dove la politica viaggia su un binario parallelo e distante, assai distante, da quello in cui arrancano famiglie e milioni di cittadini. Il tempo del sacrificio è diventato un’era: fate un sacrificio, fatene un altro….sembra un’antica filastrocca, fai un salto in su, fai un salto in giù, fai un sacrificio per chi vuoi tu. Ma tutti questi sacrifici non hanno portato così tanti benefici, piuttosto hanno portato attività chiuse, giovani senza prospettive, studenti diventati zombie, adolescenti in dad che sembrano usciti da una versione di terza categoria di Trainspotting, i piccoli che sembrano usciti da gabbie dello zoo.

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Non si torna indietro

Si tornerà alla normalità? Si tornerà al tempo pre Covid? Su questo arriva l’unica certezza: No, tornare indietro è impossibile. Non si tornerà mai a quel modo di vivere. La pandemia ha cambiato il modo di pensare, di agire nella società, di interagire con gli altri. Il lavoro agile si è trasformato in una palla al piede, altro che smart, le case sono diventate galere in cui le persone sono passate da essere famiglie a un insieme di coinquilini difficili da sopportare. Diventeremo migliori, ne usciremo più forti, lo abbiamo urlato, scritto, cantato. Siamo diventati migliori? Anche sul fronte della crescita personale e spirituale c’è molto poco da dire. Ogni sensazione è stata amplificata dal virus e dalle quattro pareti, rispettare le regole è diventata un’alternativa, e ognuno cerca un motivo per litigare, attaccare, non importa quanto sia valido

L’Arena

I social si sono trasformati in arene dove leoni, iene, pecore, pavoni, polli, galline e volpi sono i protagonisti e gli spettatori urlano e incitano, pollice su, pollice giù. Il destino affidato a un like, a un’emoticon. Il Coronavirus ci ha rubato la voglia di programmare, di immaginare il futuro, il desiderio e l’aspettativa. Come automi viviamo giorno dopo giorno, parlando di dpcm, contando gli spiccioli abbandonati in casa e nell’auto e controllando costantemente l’app della banca. E lo Stato va avanti, impassibile, con le sue tasse, i suoi dazi, la sua freddezza. Il debito si accumula come il disagio e la rabbia. C’è una “cura” a questa malattia che il virus ha causato? Non ci sono case farmaceutiche in grado di preparare una fiala magica, ma ognuno di noi può applicarsi.

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Può fermarsi, guardare oltre quello che ha davanti, ascoltare tra i mille pensieri che affollano la mente quello che ci ricorda quel sogno che volevamo tanto realizzare, ascoltare chi ci sta di fronte senza pregiudizi e sentenze già emesse. Rimettersi in discussione, offrire i mezzi ai ragazzi per costruire uno spirito critico che, forse, porterà a qualche cambiamento, a politici, presidenti, amministratori, ministri che, nelle decisioni, si mettano nei panni della gente, che condividano gli stessi sogni, che coltivino gli stessi interessi e obiettivi. Nel frattempo, finito il tempo del pane fatto in casa, dei piatti gourmet, del restauro fai da te dei mobili sparsi nelle stanze, tocca continuare ad aspettare, scrutando in fondo al tunnel sperando di intravedere la parola exit, con la voglia di riprendersi la propria fetta di vita e la paura che il gusto di quella vita non ci piaccia più.

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