Tutti a scuola di Covid: sicuri in aula ma il rischio sono gli spostamenti

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La chiusura delle scuole, forse non solo in provincia, era un fatto probabilmente inevitabile. Cerchiamo di capire il perché.
Uno dei luoghi più sicuri del pianeta è la vetta dell’Everest: non ci è mai morto nessuno. Però una persona su dieci tra quelle che tentano di arrivarci… muore. Spesso dopo averla raggiunta o nel tentativo di arrivarci. La spiegazione è semplice: esattamente come non è possibile farsi teletrasportare avanti e indietro sulla vetta dell’Everest (cosa che escluderebbe ogni possibilità di morire durante il tragitto) non è possibile pensare che la mobilitazione quotidiana di 9 milioni di persone tra studenti e personale possa avvenire come se il Coronavirus fosse improvvisamente incapace di trasmettersi in luoghi chiusi e affollati.

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La visione d’insieme

Uno dei punti cardine dell’epidemiologia per frenare una qualunque malattia contagiosa è la visione d’insieme: nessuna attività può essere considerata come se fosse slegata dalle altre. Per mesi, invece, sono state date inutili rassicurazioni sul fatto che ogni singola attività (ristoranti, palestre, scuole, luoghi di culto, ecc.) sia perfettamente controllata. E con un bassissimo rischio di contagio. Il succo del discorso invece è che durante una pandemia non si deve guardare al particolare. Ma bisogna individuare i punti di rischio presenti tra attività diverse, oppure tra persone che svolgono la stessa attività. Per esempio, ci sono luoghi sicuri come le scuole (se prese come ambiente isolato) o la gran parte dei luoghi di lavoro, dove il contagio viene ormai da mesi ridotto ai minimi termini per il rispetto dei protocolli.

Il fattore nuovo

La prima cosa che si fa in epidemiologia per capire quale sia stata la possibile causa scatenante di un’esplosione del contagio è verificare l’insorgenza di un “fatto nuovo”. A partire da un lasso di tempo compatibile con la nuova diffusione dell’agente patogeno. Se si guardano le cosiddette “curve epidemiche”, si nota che si sono impennate da inizio ottobre e si intuisce un’interazione “fra ambienti”: la riapertura delle scuole, da metà settembre, con la necessità di spostamento di circa 9 milioni di persone. La risposta a questa prevedibile discontinuità è stata un tentativo davvero maldestro di portare la capienza dei mezzi all’80%. Un fatto che ha consentito ai mezzi pubblici di essere utilizzati nelle ore di punta, come sempre, in modo molto simile a carri bestiame.

Senza distanziamento interpersonale, aerazione e quindi sicurezza. Sono del tutto inutili le giustificazioni di un numero complessivo di passeggeri ridotto al 50% rispetto alla media abituale: il 50% rimanente, nelle ore di punta, è più che sufficiente per riempire un treno o un autobus e per far saltare qualsiasi argine di contrasto al contagio. Così come è inutile sostenere che se il problema fossero i trasporti, con oltre 20 milioni di persone che li utilizzano ogni giorno, avremmo milioni di contagiati.

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Limitazione degli spostamenti

Si tratta di affermazioni che niente hanno a che vedere con quello che in epidemiologia è noto da molti decenni. Per capire quanto siano importanti i trasporti dal punto di vista del controllo di un’epidemia, non solo di quella in corso, basti pensare che nelle linee guida dell’Oms uno dei punti cardine della fase di mitigazione, che scatta quando non è più possibile il contenimento fatto di tracciamento dei contatti, è proprio la limitazione degli spostamenti.
Ecco dunque il significato dell’attuale chiusura delle scuole. Non sono i locali scolastici in sé ad essere il problema. Il problema è che per andare a scuola bisogna spostarsi. E non avete mai visto gli assembramenti, inevitabili, all’uscita di asili e elementari?

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