di Gianluca Pistore – Gentile Redazione di Cassino Notizie, innanzitutto vi ringrazio per avermi chiesto di analizzare la situazione Covid nel nostro territorio. Per rispetto nei confronti dei vostri lettori vorrei fugare ogni dubbio che possa venire dal primo all’ultimo cittadino: non sono un medico. E tutto ciò che dirò sarà frutto o dell’analisi dei dati (che è una competenza statistico matematica e non biologico medica) oppure della prevalente evidenza scientifica consultabile sulle principali riviste al mondo. Infine tutti i dati che citerò sono tratti dai report ufficiali relativi al virus dell’Istituto Superiore di Sanità e dei bollettini della Protezione Civile.
Mi sembrava giusto chiarirlo perché qualcuno potrebbe ignorantemente pensare che per comprendere questa situazione si debba per forza esser virologi. Così non è, anzi se proprio si dovesse scegliere una specializzazione medica per occuparsi di gestione delle epidemie, questa sarebbe l’epidemiologia. Inoltre forse pochi sanno che la virologia è una specializzazione anche dei biologi e non solo dei laureati in medicina. Ma nessun problema. Bastano competenze matematico statistiche apprese in un buon liceo per riuscire a leggere i dati in maniera chiara e capire meglio cosa stiamo vivendo.
Il problema non è individuale ma collettivo
Partiamo da una considerazione che deve guidarci nell’approccio a questa malattia pandemica. Siamo davanti ad un virus che nella metà dei casi (circa il 55%) si manifesta in forma asintomatica. (Tuttavia in seguito possono insorgere sintomi, e dunque il decorso completamente asintomatico avviene solo in 1 infezione su 5). Un’altra parte dei casi sviluppa sintomi lievi. Un’altra parte sintomi che richiedono cure ospedaliere. E infine circa un 7% dei casi è grave e ha bisogno di terapie intensive o sub intensive. Questo inquadramento è necessario per comprendere che il dramma di questa malattia non è verso il singolo. Ma verso il sistema.
La singola persona che si ammala (ed è in buono stato di salute) non ha un’altissima probabilità di morire, ma proprio perché sta abbastanza bene ha un’altissima probabilità di contagiarne altre. Di nuovo: non è una considerazione medica, lo dicono chiaramente i dati. Se ci trovassimo davanti a un virus particolarmente letale, sarebbe più difficile che si diffondesse, perché le persone svilupperebbero sintomi o morirebbero ben prima di poterne infettare molte altre. A fare da contraltare a questo che apparentemente può sembrare un vantaggio, c’è quel 7% di casi che si aggrava moltissimo, e ancor di più quella fetta, maggiormente ampia, di persone che richiedono l’ospedalizzazione.
il virus uccide il sistema sanitario
A questo proposito dobbiamo fugare un dubbio: no, la notizia che vanno tutti in ospedale a causa del panico, solo perché gli cola il naso, è una fesseria. Se fosse vero non vedremmo ricoveri, non vedremmo terapie intensive aumentare in maniera perfettamente esponenziale. Il dramma è che tanti contagi significano ingolfare il sistema sanitario e questo ha come inevitabile conseguenza un aumento della letalità. Le persone muoiono perché non riusciamo più a curarle. Ma c’è anche un altro effetto che non si considera: ingolfare gli ospedali significa avere meno rianimatori disponibili per chi fa un incidente stradale. Significa avere meno terapie intensive per chi subisce un intervento e ne ha bisogno, significa riconvertire reparti e non offrire le terapie a pazienti non covid.
Presto scopriremo che rimandare gli screening preventivi ci sta portando a ritardare diagnosi, con l’inevitabile conseguenza di trovarci davanti a situazioni compromesse che prese in tempo potevano essere risolte. Per questo motivo dobbiamo capire che osservare questa malattia cercando di capire quanto sia pericolosa per il singolo è un grave errore per comprendere la realtà. Ad ammalarsi qui è innanzitutto il sistema sanitario, e poi la forza motrice del paese. Le persone ammalate non vanno a lavoro, i morti non producono reddito.
La situazione territoriale
Premesso tutto ciò, possiamo analizzare la situazione nel nostro territorio. Preferisco osservare i dati provinciali e non solo su Cassino poiché il bollettino ufficiale della protezione civile fornisce solo i dati della ASL di Frosinone. Il 19 ottobre facevo notare sul mio profilo Facebook che l’incidenza dei casi nella nostra provincia era doppia rispetto a quella della provincia di Roma (ovviamente avevo corretto i dati per casi su 100.000 abitanti in modo da poterle confrontare). Frosinone quel giorno era la prima provincia nel Lazio per incremento di casi settimanali.
L’indice di trasmissione del virus R(t) stimato dal Prof. Davide Tosi sul suo sito Covid19-Italy.it era intorno a 1,5. Ovvero il livello soglia indicato dall’Istituto Superiore di Sanità per indicare lo scenario 4. Quello più grave, in cui la trasmissione del virus è fuori controllo. Mi sembrava giusto segnalarlo, ma oltre a qualche insulto non ho ricevuto grande attenzione. Così dopo un paio di settimane la situazione è migliorata? No. A guardare il grafico di incremento dei casi (vediamo una media a 3 giorni) notiamo che la nostra provincia ha la stessa colorazione di alcune province campane. I casi incrementano e lo fanno molto velocemente.
Andare a sbattere prima di capire
Il 20 ottobre però il Sindaco diceva nella trasmissione RadioCity: «Abbiamo la fortuna che nella nostra provincia non siamo in una situazione drammatica, io spero che possa continuare così». Tuttavia il 23 ottobre – con notevole reattività e capacità di adattarsi ai cambiamenti – si augurava in un video postato sul suo profilo Facebook «nuove misure restrittive (…) proprio perché la curva dei contagi cresce in maniera esponenziale». Invocando il coprifuoco nel fine settimana contro la movida, ma lasciando svolgere il mercato settimanale. Abbiamo visto l’appello del Primario del Pronto Soccorso di Cassino, Ettore Urbano che su Facebook ha raccontato di avere il PS intasato di pazienti positivi al Covid. Una domanda mi sorge spontanea: ma perché dobbiamo sempre andare a sbattere prima di capire che stavamo uscendo fuori strada?
Io non faccio l’indovino, non sono un sensitivo, semplicemente – come molti – osservo i dati e la matematica è particolarmente preziosa per modellare questi fenomeni. Perché non tenerne conto? Domanda retorica alla quale forse ha risposto la cancelliera tedesca, Merkel, dicendo «dovevamo chiudere prima, ma la gente deve vedere i letti pieni». Forse ha ragione, le restrizioni preventive utilissime non verrebbero accettate da una popolazione disinformata, e solo davanti a un dramma le persone riescono a capire che occorre far sacrifici. Peccato, occasione persa! Ma cosa ci dicono oggi i numeri? Nella nostra provincia il virus circola molto. Occorre forse osservare un andamento più ampio per comprenderlo perché il sistema di tracciamento dei contagi si è un po’ ingolfato quindi può capitare che gli esiti dei tamponi vengano comunicati con dei ritardi.
Non possiamo mettere sotto accusa le ASL. Siamo davanti a una situazione di una complessità assurda e nelle grandi città il sistema di tracciamento è sostanzialmente collassato.
La situazione è pericolosa, soprattutto perché noi ci troviamo ad affrontare questa seconda ondata senza aver conosciuto la prima. Nel nostro territorio la circolazione del virus nella prima ondata non è minimamente paragonabile a quello che sta accadendo ora. Non occorre una complessa analisi dei dati per notarlo: quanti positivi tra i vostri conoscenti ricordate della prima ondata? E quanti oggi? Lo so, da divulgatore scientifico ho commesso un imperdonabile errore a citarvi la vostra esperienza personale per dimostrare qualcosa. Ma credo che sia talmente evidente che ora nel nostro territorio il virus circoli molto di più che nella prima ondata da bastare anche solo l’esperienza individuale per capirlo.
Per questo, davvero, non è il momento di cedere ai complottisti, di ascoltare chi dice cose che ci fanno comodo, che vorremmo fossero vere. È il momento di una sanissima dose di realismo. La situazione è dura. Il rischio di contagio è alto e ci avviamo a vivere delle settimane molto difficili.
La nostra azione per contenere i contagi
La nostra azione nel contenere i contagi può essere importante (non risolutiva, dobbiamo dirlo!) chi può deve stare a casa. Limitare al massimo le interazioni sociali. Proteggere le persone più a rischio. E fare la massima attenzione durante le attività che non possiamo evitare di svolgere. Come andare a lavoro o a scuola. In attesa che arrivi il lockdown che, onestamente, mi sembra inevitabile a questo punto. A causa di chi non ha avuto il coraggio di fare chiusure localizzate lì dove il virus circolava troppo. Ora la situazione è fuori controllo.
Cerchiamo di mantenere noi il controllo e senza panico. Ma con una sana paura diamoci da fare. Ricordiamo che il nemico da combattere è il virus, non sono le altre persone, riscopriamoci comunità, riscopriamoci uniti. Rispettiamo le regole che ci vengono imposte e aggiungiamo una grandissima dose di buonsenso.