Nel 1946 gli italiani furono chiamati alle urne per un referendum storico, per scegliere tra la Monarchia e la Repubblica. Il Paese stava uscendo da una guerra che aveva segnato profondamente tutti, da Nord a Sud. La devastazione, le violenze, i saccheggi e quella forte sensazione di non essere un popolo, ma piccole comunità scollate e sconosciute. Alle spalle un ventennio, quello fascista, partito in pompa magna e finito nella miseria e nell’incertezza. A giugno però tutti furono chiamati a una scelta. Cosa fare? Per la prima volta la società italiana visse l’esperienza di libere elezioni a suffragio universale maschile e femminile: si votò (domenica 2 e lunedì 3 giugno) per l’elezione di un’Assemblea Costituente, cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale e contemporaneamente si tenne un referendum istituzionale per la scelta tra Monarchia e Repubblica.
I numeri
La storia ci consegnò il risultato che tutti conosciamo: la Monarchia ottenne 10.719.284 voti, e la Repubblica 12.717.923 voti. Nel 1946 gli aventi diritto al voto erano 28 milioni. I votanti furono quasi 25 milioni (24.946.878 per la precisione), pari all’89,08%, un milione e mezzo furono le schede bianche e nulle.
Le due facce dell’Italia e il contentino “Roma Capitale”
Il Paese neanche a dirlo, nacque da una profonda spaccatura, il Nord e il Sud erano due mondi separati e distanti e i dati parlano chiaro, Il Nord preferì la Repubblica mentre il Sud , senza dubbi, prediligeva la Monarchia. A “casa” della dinastia dei Savoia, in Piemonte la Repubblica ottenne 1.250.070 voti, in Toscana 1.280.815. In Sicilia, invece, furono 1.301.200 i voti per la Monarchia e 708.109 quelli per la Repubblica. In Campania 1.427.038 quelli per la Monarchia, 435.844 quelli per la Repubblica. Un dato che parla chiaro, due Italie in una, una difficile convivenza che, ancora oggi, è piena di contrasti. Lazio, Campania, Abruzzo, Puglia, Lucania, Calabrie, Sicilia e Sardegna compatte scelsero per la Monarchia. Ed è forse per “accontentare” il Sud, che voleva un re e una regina, che la Capitale fu scelta nel Lazio. Roma, il “contentino” dei monarchici.
L’alba di un “nuovo” giorno
Il 18 giugno la Corte di Cassazione dichiarò l’Italia una Repubblica, il Regno d’Italia, che dal 1861 (unificazione) era finito, che dall’unificazione (1861) era stato guidato dai Savoia: da monarchia costituzionale l’Italia diventava repubblica parlamentare. Enrico De Nicola, fu il primo presidente della repubblica, della Repubblica Italiana, Alcide De Gasperi fu il primo presidente del Consiglio. Il primo gennaio del 1948 entrò in vigore la nuova Costituzione.
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La Repubblica è donna?
Chiamate per la prima volta alle urne, le donne, madri, mogli, figlie, incarnano l’ago della bilancia. Quanto “pesante” fu il loro voto? L’estensione del diritto di voto alle donne non è una concessione ma una conquista. Fin dalla fine del secolo precedente e poi nei primi anni del ‘900, con la Prima Guerra Mondiale le donne fecero qualche passo avanti. Mentre gli uomini erano al fronte conquistarono un ruolo. Ma con il ventennio fascista persero tutto, proprio come gli uomini, libertà azzerate e donne in marcia, unica possibilità concessa essere madri e balie. Poi il 2 giugno, un vento rinnovato, non solo le donne potevano votare, diventarono eleggibili.
Il 2 Giugno le italiane e gli italiani scelsero la Repubblica: il 35% di preferenze alla democrazia cristiana, il 20% al partito socialista, il 18% al partito comunista. Delle 226 candidate all’Assemblea Costituente, 21 su 556 seggi sono conquistati da donne. 9 per il PCI, 9 per la DC, 2 per il PSI e una della lista dell’Uomo Qualunque. Donne che vengono in gran parte dal Nord e dal Centro Italia. Hanno studiato e sono in maggioranza sposate con figli.
Nomi che hanno fatto la storia
Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce e Nilde Iotti entrano anche a far parte della Commissione di 75 membri incaricata di elaborare e stendere il testo della nuova Costituzione repubblicana. Grazie all’intervento della socialista Lina Merlin nacque la specifica sulla parità di genere inserita all’articolo 3, comma 1, della Costituzione. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La stessa Merlin promotrice della legge che abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. La prostituzione in sé, volontaria e compiuta da donne e uomini maggiorenni e non sfruttati, restò legale, considerata parte delle scelte individuali garantite dalla Costituzione, come parte della libertà personale inviolabile (articolo 2 e articolo 13).