Si narra di un giorno di festa, un giorno di libertà. In quel giorno un cocchio dal colore oscuro si aggirava tra le strade di Casinum, il paese che gira al contrario, facendo risuonare canti di saluto e bellezza. Strofe che mai avevano messo d’accordo popoli e paesi, note della discordia che rivendicavano per una parte il giorno di festa per tutti.
In quel giorno, nel quale il Rex era impegnato ad adornare di fiori variopinti la stele del ricordo, quel cocchio oscuro continuava a sparare note al cuore dei cittadini del reame, che, a dir poco consumati, dalla permanenza casalinga, decisero di documentare il passaggio della sontuosa carrozza. Nessuno seppe dire con certezza quale cavaliere oscuro conducesse il carro, molti cavalieri del re dissero di non aver visto nulla, negandone addirittura l’esistenza.
I cittadini però, come super eroi, avevano aguzzato i sensi, e la vista e l’udito aveva dato loro certezze, il cocchio era passato e salutava una bella a tutto spiano. In poco tempo si accesero fuochi e le piazze iniziarono a bruciare.
Il Rex imperterrito continuava a restare, all’apparenza indifferente, così consigliato dai suoi più fedelissimi consiglieri, mentre i suoi sudditi continuavano a chiedere spiegazioni in tutte le lingue del mondo.
I cavalieri, al contrario, galoppavano nelle piazze prendendo di mira il popolo e quei pochi amanuensi che cercavano di scrivere ai posteri queste ignobili gesta, accusando tutti di avere visioni. Di essere degli scriteriati impazziti a causa della grande epidemia che li teneva segregati in casa. Cancellarono qualsiasi tipo di prova, ma non bastò.
Nel paese regnava il caos senza che nessuno provasse a mettere ordine.
Così del giorno della libertà non rimase che un triste ricordo la cui colonna sonora per alcuni fu di saluti a una bella e per altri fu di ragli di somari. L’unica certezza fu lo sterco lasciato a terra dal cocchio. E il tanfo che si protrasse per giorni e giorni.