Quanto vale un NO? Può valere anche una vita ancora tutta da vivere

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“Mi chiamo Martina. Arriva l’estate, non vedo l’ora di andare al mare. Dovrei comprare un costume nuovo, chissà magari con la promozione arriverà qualche soldino. Ne avevo visto uno carino, lo chiederò a mamma. La settimana prossima devo ancora affrontare qualche interrogazione, poi basta, davvero. L’anno scolastico sembra non finire mai. Intanto oggi prima di cena magari vado a fare una passeggiata, ho voglia di gelato. Chiamo anche Alessio, anche se non stiamo più insieme magari viene a fare due passi. Così gli spiegherò ancora una volta perché non voglio più stare con lui”.

Martina, 14 anni, l’ennesima vittima. In questi giorni non si è fatto altro che analizzare le motivazioni di questo omicidio. Oggi lo chiamano “femminicidio”. Ma il succo non cambia. Una giovane ragazza, poco più di una bambina, fidanzata con un diciannovenne. Due anni già trascorsi dall’inizio di questa relazione. Ma è davvero così che possiamo chiamarla?

“Mi chiamavo Martina. Volevo un costume nuovo per la promozione, dovevo ancora recuperare qualche interrogazione e mi aspettavo un’estate piena di divertimento. Questa sera avevo voglia di gelato e mi dispiaceva per Alessio che avevo lasciato qualche settimana fa, volevo spiegargli solo perché non volevo più essere la sua fidanzata. Poi però siamo andati allo stadio, ha iniziato a scendere la sera. All’improvviso tutto si è fatto buio. Mi aspettava mamma a casa, per cena. Non credo che riuscirò a tornare a casa. Non indosserò il costume nuovo. Non diventerò adulta. Per me non c’è più futuro. Mi chiamavo Martina e ho solo detto NO”.

Nessuna giustificazione plausibile per un omicidio, violento, barbaro, brutale. Ma qualcuno si domanda, più di qualcuno, se a 12 anni sia giusto fidanzarsi con un diciassettenne, vivere questo fidanzamento in casa, con l’appoggio dei genitori. Sicuramente cinque anni non rappresentano una grande differenza, ma questo quando si diventa più grandi, perché, diciamocela tutta e senza voler a tutti i costi “normalizzare” tutto, a 12 anni non si hanno gli stessi input e le stesse percezioni che si hanno a 17 anni, questo accadeva mezzo secolo fa come oggi.

Ma Martina aveva il suo fidanzato, le famiglie lo sapevano e approvavano. Un giorno come tanti una passeggiata con un’amica, ad ora di cena la mamma che chiama per sapere se la ragazza rientra per cena. Poi nulla più, il silenzio. Martina non rientra a casa. Martina, 14 anni, che era uscita con un’amica per mangiare uno yogurt.

Poco prima in centro aveva incontrato quel ragazzo, quel “quasi” diciannovenne, per dirgli che per loro non c’era più futuro. Un No definitivo.

Lui quel No non lo ha potuto accettare, perché l’amore è possesso, perché l’amore non può e non deve finire, perché se non sei “mia” non sarai di nessun altro.

E dobbiamo chiederci tutti dove ci sia l’errore. Quando un Sì di troppo ha fatto in modo che quel No decretasse la morte di Martina. A 12 anni è giusto fidanzarsi con quello che può essere considerato un giovane uomo? Molti genitori pensano “meglio saperlo e averli a casa per controllare che non sapere dove siano”, ma questo poi legittima tutto. E a 12, 13 anni chiamano la mamma del fidanzatino “suocera”. Due anni prima indossava ancora il grembiule e frequentava le elementari, 24 mesi e inizia una “relazione”. Non vuole e non deve essere un giudizio, piuttosto un’analisi di un fenomeno dilagante. Così anche le piccole donne, poco più che bambine, entrano in vortici complessi che anche donne mature ed esperte a volte non sanno gestire. A furia di dire Sì ai ragazzi il No diventa un affronto, inaccettabile, inconcepibile e la risposta a queste due lettere si macchia di sangue, di violenza, un desiderio di porre fine a quella che si dice essere la persona tanto amata.

E così il buio è calato sulla giovane vita di Martina che, a soli 14 anni aveva il diritto di vivere la sua adolescenza, la sua giovinezza e di conoscere l’amore, quello vero, quello fatto di condivisione e di rispetto. Quello consapevole.

Prima di lei un elenco infinito di Melania, Samanta, Valentina, Francesca, Giulia. Perché ormai insegniamo ai giovani che a scuola se si sbaglia, la colpa è dell’insegnate; in auto se si sbaglia, la colpa è sempre dell’altro; se la partita non si vince, è per l’arbitro scorretto; se qualcun altro ci supera in aula, sul campo o nella vita, è perché è avvantaggiato, mai per merito. La colpa è dell’altro, non ci sono limiti da rispettare e modi per migliorarsi, conviene addossare la colpa all’altro e, dove possibile, attaccarlo.

Quanto può valere un NO pronunciato quando necessario? Un NO può valere una vita, tutti i sogni e i desideri di una giovane donna, i progetti e le aspettative. Un padre che accompagna una figlia all’altare, una madre che diventa nonna, una famiglia che assiste a una discussione di laurea. Un NO può salvare tutto, un SI’ invece può cancellare tutto, come un colpo secco, violento, sul volto delicato di una quattordicenne.

“Volevo abbracciarla, si è rifiutata e l’ho colpita alle spalle” dice l’ex di Martina, reo confesso.

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