Sei anni fa moriva Gabriel Feroleto, e con lui anche una parte di noi

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Sei anni fa moriva Gabriel Feroleto. Era un mercoledì e, come in questi giorni, ci si preparava a festeggiare la Pasqua. Quel mercoledì il clima era tiepido, si sentiva nell’aria il profumo di primavera. Nel primo pomeriggio l’allarme: un bambino era stato investito, a pochi passi dallo stabilimento Fca. A travolgerlo, secondo le prime indiscrezioni, un vicino di casa sul vialetto. Poi un familiare. Poi la madre. Mentre noi giornalisti ci apprestavamo a recarci sul posto le versioni si susseguivano e cambiavano. In pochi minuti però eravamo lì. E a terra c’era un bambino, piccolo, inerme. Chini su di lui diversi infermieri e medici del 118. A qualche metro, in un campo di fronte a quel vialetto, un’eliambulanza pronta a decollare. Forze dell’ordine e transenne. Una ragazza con lo sguardo perso nel vuoto e i i residenti attoniti. Il cielo, azzurro fino a qualche minuto prima, si fece grigio, nuvole all’orizzonte. Il bimbo si chiamava Gabriel, aveva poco più di due anni. Nel cortile macchinine e furgoncini dei vigili del fuoco, i suoi giochi preferiti.

Gabriel, nonostante tutti i tentativi, non sopravvisse a quel mercoledì, a quella giornata di primavera. Morì. Le eliche dell’eliambulanza si fermarono, l’aria si fece pesante e il silenzio avvolse tutti. Qualche giorno dopo nel suo completino candido trovò riposo nel piccolo feretro. Era minuscolo, esile, piccolo Gabriel. Ad occuparsi delle sue esequie fu La Santa Restituta II, il proprietario, Antonio, era un ragazzo. E per ricordare il piccolo fece realizzare dei cartoncini con una foto del piccolo sorridente e i camioncini che tanto amava. Ricordo bene anche la delicatezza con cui si presero cura delle spoglie del bimbo, come di un figlio.

Nei giorni, nelle settimane, nei mesi successivi la giustizia andò avanti. Il piccolo morì per mano di chi lo aveva messo al mondo. Un pianto di troppo in un momento in cui avrebbe dovuto tacere. Ma come si può far tacere un bimbo di due anni che vuole solo ridere, correre, arrampicarsi, scoprire il mondo. Arrivarono sentenze e condanne.

E sono già passati sei anni, oggi Gabriel sarebbe stato un piccolo scolaro delle elementari, magari pronto a ricevere la prima comunione. Un bambino come tanti. Ma a Gabriel è stata negata la possibilità di crescere, di vivere l’infanzia. Di seguire con il nasino all’insù le farfalle libere nel campo in cui invece ha trovato la morte e dove il buio ha preso il posto della luce. Quel giorno è morto Gabriel, ma anche una parte di tutti noi, dell’umanità. Si è rotto qualcosa. E ogni tanto il pensiero torna al piccolo Feroleto, quando si passa accanto a quella casa, davanti a quel vialetto. I fiori bianchi hanno riempito il campo antistante. I giorni passano e il sorriso di Gabriel è rimasto fisso, nel tempo, nella memoria, nei manifesti. Su quel cartoncino col camioncino. E la sua risata, risata di bambino, di purezza risuona ancora in quel fazzoletto di terra dove l’erba continua a crescere i fiori a sbocciare, anno dopo anno, stagione dopo stagione.

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