Ucraina tra muri, molotov e tanta dignità

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Ucraina – Può il desiderio di pace o la condanna della guerra avere colore politico? Sicuramente ogni conflitto bellico nasce anche da questioni politiche, ma davanti a questo o si torna ad essere tutti umani o si continua ad essere come chi la guerra la fa, con parole e fatti. Ieri la società civile si è trovata al Parco Baden Powell per manifestare, per dire no alla guerra. Un’iniziativa partita dagli Scout aperta ad associazioni e cittadini che poi è stata “adottata” dalla politica.

Il giorno dell’umanità

E mentre nel parco c’erano decine di ucraini con bandiere e cartelloni, sotto al gazebo si sono alternati interventi su quanto sia brutta la guerra, sulla storia del territorio ferito dal conflitto di ottanta anni fa. Ieri non sarebbe dovuto essere il giorno della politica, delle pacche sulle spalle e degli abbracci appellandosi “compagni” (quella è la Festa dell’Unità), ma il giorno dell’umanità. Il giorno in cui ascoltare loro, le donne presenti numerose con i colori della bandiera Ucraina, sguardo fiero e e due sole parole: difendere e combattere. Molte di loro sono spossate, hanno figli, qualcuno è nato in Italia. Ma hanno tutti famiglia in Patria, fratelli, cugini, genitori e nipoti.

Difendere la nazione

“Nessuno vuole andare via, qualcuno sta pensando di rientrare. Partendo in macchina e entrando nel Paese per difendere la nazione”. Un attaccamento viscerale e profondo alle origini e ai luoghi che fanno parte della loro vita, seppur lontani. “Vivo qui da tanto tempo ormai, ma il mio cuore batte per il mio Paese. Noi siamo un popolo di combattenti, lo sappiamo fare. Resisteremo e combatteremo e non ci arrenderemo”. Nessun volto rigato da lacrime o appelli sdolcinati, una linea ben chiara e decisa che lascia trasparire ogni dettaglio di questa popolazione così tenace e caparbia.

Muri e Molotov

Ieri al parco c’era qualche donna con bambini arrivata da poco. “Tutti hanno visto le colonne di auto che lasciavano Kiev, nessuno sa o ha capito che quelli erano uomini che accompagnavano mogli e figli fuori dal paese per metterli al sicuro e poi tornare a combattere. I russi pensavano di vederci scappare o di festeggiare il loro ingresso, invece hanno trovato muri e molotov”. Tante storie, tante testimonianze, ognuno con la sua dignità, il rispetto per gli italiani e il rammarico perché il mondo si è accorto troppo tardi o comunque con estremo ritardo di quello che si stava vivendo già da anni in Ucraina.

La retorica chiusa nei cassetti

Non solo racconti di guerra e testimonianze di familiari nascosti nei bunker e raggiunti telefonicamente due o tre volte al giorno, uomini e donne ucraine hanno raccontato il loro Paese, la bellezza dei luoghi, le città di arte e cultura come Leopoli, la tradizione antica della produzione della birra, nelle cui bottiglie svuotate ora si preparano molotov. E ancora l’amore per la terra, le grandi distese di grano che arriva anche in Italia e nella pasta al pomodoro tanto amata dai buongustai. C’è molto di più di quello che si immagina tra l’Italia e l’Ucraina, un rapporto molto più forte di quello che in tanti conoscono. Ora è tempo di ascoltare il popolo ucraino che vive tra di noi, di offrire il sostegno che chiedono e di lasciare la retorica chiusa in un cassetto.

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