Per quattro anni, dal 2006 al 2010, aveva lavorato presso la sede distaccata di Cassino di Federlazio. A seguito del licenziamento la donna si è rivolta all’avvocato del Foro di Cassino, Christian Cifalitti. Non per impugnare il licenziamento: i riflettori sono stati puntati sui diritti. Cosa significa? La donna, all’epoca dei fatti quarantenne, ha lavorato per 4 anni con una retribuzione lorda di 4,50 euro l’ora.
L’iter processuale
Somma decisamente inferiore rispetto a ciò che prevedono le normative nazionali. Per questo motivo è iniziato l’iter processuale che si è concluso nel 2018 con la sentenza di primo grado. Il Tribunale di Cassino aveva condannato l’associazione di categoria che ha dovuto versare le somme spettanti alla donna calcolate sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore commercio e terziario. Quello stesso contratto collettivo a cui l’associazione di categoria si rifà nelle varie aziende e società. Ma non al suo interno. Federlazio ha quindi presentato ricorso in Appello illustrando la tesi per la quale l’associazione non sarebbe stata tenuta a sottoporre quel tipo di contratto.
Retribuzione non conforme
La Corte ha ribadito che in ogni caso quella retribuzione (4,50 euro l’ora per un contratto part time) non era conforme all’articolo 36 della Costituzione che prevede che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Pertanto anche i giudici di Roma, nella sentenza di venerdì scorso, hanno confermato ciò che già aveva stabilito il Tribunale di Cassino nel 2018. Federlazio è stata condannata anche alle spese processuali.