Nel cuore del PNALM (Parco Nazionale Abruzzo, Lazio e Molise) Una delle ascese più affascinanti è indubbiamente quella del Meta. Una montagna maestosa che domina le sue “sorelle” e con a difesa il suo Gendarme. Dolce ed aggraziato il suo versante Sud, anche se nell’apparenza viste le pendenze che si possono incontrare, mentre quello Nord caratterizzato da strapiombi e canalini stretti, ancora più evidenti durante l’inverno. Ed è proprio in questa veste che voglio raccontarvi questa meraviglia a due passi dalla nostra valle. Terza puntata della nostra rubrica “Respiro”
Il racconto
Il telefono trilla, alcuni messaggi seguono il “farsi giorno” che ci mostra il “dono” dell’ultima perturbazione.
Il sole da est che sorge, aiutato dalla fredda tramontana, illumina le nostre montagne. Osservo le vette prossime alla nostra città per capire fino a che quota è scesa la neve e in che quantità. Monte Cairo, l’Aquilone, ma anche gli Aurunci sono coperti. Ancora alcuni messaggi, passo velocemente a rassegna i vari siti meteo e le mappe nivologiche e pianifico attentamente il percorso. I miei compagni di avventura scalpitano e l’emozione inizia a prendere il sopravvento. L’appuntamento è fissato.
Che abbia inizio il rito
Le azioni compiute nel preparare l’attrezzatura, prima di ogni avventura, che sia un raid sci-alpinistico o una battuta di pesca, o un’uscita in bici, prendono per me le sembianze di un vero rito. Nella testa la “via” da percorrere, la mente ne elabora parametri. Temperature, asperità da affrontare ed inconvenienti in cui si potrebbe incappare. Gli sci, compagni di mille avventure, sono poggiati su alcune tavole, passo la sciolina e applico le pelli di foca che cospargo di apposita cera. Lo zaino, un 32lt di capienza, viene svuotato e in ordine ricomposto. Le dotazioni di sicurezza ci sono, con me sempre Artva, sonda e pala. Un cambio, il casco nell’apposito alloggio e il un piccolo multitool per ogni evenienza. Il portellone aperto della mia auto, abbatto i sedili e in un attimo sono alla guida.
Il punto di ritrovo
Passato il paese di Picinisco (FR), la neve sempre più copiosa ricopre i bordi della carreggiata. L’ampio parcheggio di Prati di Mezzo è ridotto ad uno slargo. Alla spicciola arrivano anche i miei due compagni di avventura. Pochi minuti e siamo sugli sci!
Dalla vettura ci incamminiamo fino a raggiungere un sentiero alle spalle del “Baraccone”. Il primo tratto è percorso a testa bassa, anche perché la strada è tanta. Lo stretto sentiero si inerpica velocemente tra gli alberi. Ancora pochi metri e davanti a noi una splendida valle, una visione quasi fiabesca con il candore della neve. Godiamo l’addolcimento della pendenza, il tempo di scattare alcune foto e velocemente attraversiamo la “piana”. Dopo alcuni minuti entriamo nuovamente in un bosco. Zigzagando, senza perder d’occhio lo spettacolo che ci circonda affrontiamo agevolmente la seconda asperità. Tra alcune soste, battute e racconti, rapidi ci “infiliamo” nel canalino che ci porterà ai piedi di sua maestà: Monte Meta.
Il cimitero degli “elefanti”
A caratterizzare questo tratto di montagna sono dei Faggi enormi, indubbiamente secolari. Alberi che sono diventati a loro volta degli ecosistemi. Giganti buoni che sorvegliano la valle e con addosso il peso di tutti quegli anni. Passo, scatto alcune foto, ammiro entusiasta e penso al loro vissuto. Alcuni già morti, altri cavi, molti con rami spezzati…la sensazione è quella di essere nel “cimitero degli elefanti”. Nulla a che vedere con questi mammiferi, ma come se quegli alberi avessero scelto di andare ad addormentarsi in quel preciso luogo.
Il silenzio
Superato lo stretto canale ed affrontati alcuni passaggi ripidi ad aprirsi davanti ai nostri occhi è pura magia. L’ Anfiteatro formato dalle dune di neve pervade le nostre percezioni sensoriali. Il continuo scherzoso parlottare di noi amici e le risate si trasformano improvvisamente in un silenzio che a bassa frequenza attraversa i nostri corpi dalla mente alle gambe. Consapevoli della grandezza e della profondità che solo la Natura può insegnare. Tutto quel candore abbaglia, il freddo lascia il posto a quel silenzio che arricchisce gli animi.
L’assalto alla vetta
Giungiamo velocemente ai piedi dell’agognato monte. Passo dei Monaci con le sue pietre modellate dal vento, con “fiori” di ghiaccio e le sue bizzarre forme, ci accoglie. Il tempo di riprendere il fiato, una bevuta, si cambia assetto, in tre si decide quale linea seguire.
Dove la montagna Ti “sbatte” in faccia
Decidiamo di “attaccare” la vetta dal versante ovest, montati i rampant per garantirci una presa salda sul pendio, pochi metri e siamo in pieno “traverso”. Man mano che saliamo la pendenza aumenta e la distanza da quel pianoro da cui siamo partiti sempre più importante. La situazione è impegnativa, fisicamente ma soprattutto mentalmente. A dar conto della situazione la prima virata che ci permette di iniziare un secondo “traverso”. Punto lo sci di valle incrocio l’altro sci e a pochi centimetri dal mio naso: la montagna. È nella mente che si gioca la partita, indietro non si torna! Chiudo lentamente gli occhi e respiro, guardo in basso e vedo quel pianoro, “isola felice” ormai lontana. Con lentezza sposto il peso sull’altro sci e riporto l’altra gamba. Si torna a salire. La scena si ripete per altri traversi, fino a raggiungere alcune pietre che ci indicano il cambio di pendenza: il peggio è passato.
Una pietra preziosa
Le sparute rocce preannunciano la dorsale del monte, lo scenario cambia rapidamente. A monte iniziano ad intravedersi le cime abruzzesi. Guardo sereno i miei compagni, sorridono e fieri al mio fianco la dritta è già nei loro sguardi. L’addolcita pendenza ci permette di prendere un passo rapido, la neve polverosa lascia il posto ad una crosta ghiacciata di un colore che ricorda quello degli zaffiri. Camminiamo su una “pietra preziosa” dinanzi la croce che ci indica la vetta.
Raccolgo le mie forze, ma ormai l’adrenalina ha preso il sopravvento, scruto a 360° l’orizzonte le nostre montagne sono lì a ricordarci la notte dei tempi, le pianure con i loro laghi, Alfedena, il Lago Vivo, Castel San Vincenzo. Sullo sfondo Il Corno Grande del Gran Sasso, poi la Majella e a sud tutto il complesso del Matese. Lo sguardo scorre veloce, non vi è un luogo dove non abbia vissuto un’avventura.
Respiro, tra i due mari
Le mie radici si fondono con quelle terre. All’orizzonte un bagliore, scruto bene è il Tirreno, imponente è l’isola di Ischia e appena visibile la piccola e amata Ventotene. Ritorno a guardare ad Est, a colpirmi è il colore della linea dell’orizzonte. Il blu cobalto mi indica che è l’Adriatico. Un momento unico, in un attimo ho davanti ai miei occhi tutto quello che sono e che intimamente conservo. Sono tra due Mari, RESPIRO, appoggio i miei sci nei pressi della croce ghiacciata e mi siedo. Con i miei compagni poche parole, sorrisi e pacche sulle spalle e quel valore che solo la montagna sa darti.