Il giorno della Memoria che la società ha iniziato a dimenticare

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“Fa freddo, ho fame, la luce bianca di questo cielo lontano e ovattato mi acceca. Non sento più alcuna parte del mio corpo. Le mie mani… avevo delle mani così belle. Amavo disegnare, suonare il pianoforte. Ora non riesco a chiudere le mani neanche per cingere un fiore. E i fiori, come mi mancano i fiori. In questo posto neanche i fiori crescono più, la terra si rifiuta di dare vita. Non mi sento più niente, non sono donna, non sono persona, non sono essere umano. Sono solo un lembo di pelle con quattro ossa. Mi hanno tolto tutto, non ho sogni, non ho dignità, non ho voglia di vivere, non ho la forza di andare avanti. In questi giorni c’è stata tanta agitazione, tante urla, non ho visto più tante compagne. Capirai, alla fine della maggior parte di loro non ho neanche saputo mai neanche i nomi. Io stessa non ricordo il suono del mio nome. Che poi il nome è davvero mio? Il mio nome sono io? Basterà pronunciarlo di nuovo, sentirlo pronunciare da altri per ritrovarmi? Sono persa. Non esisto più. Sento solo freddo e la luce mi acceca. Non sono più donna, non so se sarò mai moglie, figuriamoci madre. Sono stata figlia. Che bella era mia madre, così curata, così dolce, così discreta. Non posso immaginarla ridotta come me oggi, le sue belle gote rosse, i suoi fianchi larghi e quelle braccia sempre pronte a dare conforto. Dalla morte non può nascere vita. Che vita sarebbe poi.
Cosa accade? Tutto intorno un caos calmo, cosa devo fare? Resto ferma, come fossi morta. Tanto un po’ lo sono. Morta.

Chi sono questi uomini, che lingua parlano. Una nuova tortura, un nuovo carnefice.

Vedo mani tese. Mi specchio negli occhi di questi uomini, vedo in quegli occhi terrore, schifo, pietà, sgomento. E’ così che mi vedranno da oggi gli altri? Noi ci siamo abituati, non ci riconosciamo più, non vogliamo più riconoscerci. Volti tra volti, numeri. Come farò io stessa a ritrovarmi in uno specchio?

Usciamo dalle capanne, la luce ci acceca, non capiamo. Qualcuno bisbiglia, “Siamo liberi”. “Liberi”, non so se sarò capace di tornare ad essere libera, non sono più la stessa. Non sarò mai più libera. La mia libertà è morta quella sera che sono entrati in casa, con quelle divise, con i fucili. La mia libertà è morta in quell’interminabile viaggio che mi ha portata qui. La mia libertà è morta, finita nel fumo e nell’odore acre che ho respirato fino a ieri. Io non vivo più. Non vivrò più. Sono una sopravvissuta”.

La memoria del male

Era il 27 gennaio del 1945, sono trascorsi 80 anni. L’hanno chiamato il Giorno della Memoria, per non dimenticare ciò che è accaduto. Ciò che l’uomo ha fatto al suo simile. In realtà a distanza di 8 decenni le cose non sono poi tanto cambiate, il razzismo abita ancora tra di noi, porta l’abito di chi giudica per la pelle, per la fede, ma anche per il ceto sociale, per le scelte politiche. Porta l’abito dell’indifferenza di chi a parole si batte per alcuni valori ma poi nella realtà dei fatti è il peggior razzista. Il finto buonismo non ha tempo. Il pensiero di essere nel giusto. L’odio spalmato tra le persone, la voglia di ferire, l’arroganza di sentirsi migliore di qualcun altro. Hanno solo volti diversi, hanno solo abiti diversi, non più divise da rendere “il mostro” riconoscibile. E il mostro a volte indossa anche l’abito del pacificatore, del generoso, dell’accogliente e dell’integrante. Anche il volto del fedele. Tornando poi al giorno della Memoria non si può non pensare alle parole di Primo Levi “Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?”. A che serve in una società che ha dimenticato e che dimentica ogni sera.

E anche oggi, il sole è tramontato su questo 27 gennaio, come lo fece 80 anni fa, domani sorgerà di nuovo e il nostro domani sarà quello che sarà per quel passato così oscuro, ingombrante e ripugnante che, come un’eredità maledetta, serpeggia ancora tra noi. Con la certezza che il domani per gli uomini e per le donne che il 27 gennaio 1945 si svegliarono senza sapere cosa sarebbe successo, rappresentò un nuovo inizio, fatto di ferite insanabili, di sfide, di paura e di voglia di tornare a vivere. Spesso senza riuscirci più, nonostante un cuore che batteva e un respiro dietro l’altro.

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