Trentaquattro anni fa crollava il Muro di Berlino. Non solo mattoni e cemento. Il crollo dell’Antifaschistischer Schutzwall, così come era chiamato, ha rappresentato una svolta sociale, economica epocale. Immagini che sono rimaste indelebili nella mente e nei ricordi. Ma trentaquattro anni di distanza cosa ne è rimasto di quelle macerie, di quella nottata e di tutti gli anni precedenti?
Oggi viviamo in un mondo diverso? Questa è una domanda che dovremmo porci tutti. Un mondo diverso solo per come ci vestiamo, perché abbiamo telefoni e smartphone? Perché possiamo ordinare vestiti e accessori dall’altra parte del mondo e vederceli recapitare a casa in qualche giorno? Siamo diversi perché sappiamo immediatamente se dall’altra parte del mondo si sta combattendo una guerra, si sta bombardando una città? Siamo diversi perché possiamo postare sui social immagini di bambini feriti e tremanti, con gli occhi sgranati e i visetti sporchi di polvere e scrivere una frase di condanna o mettere un cuore spezzato, comodamente seduti sulla nostra sedia e con l’ennesima serie di Netflix che scorre sul megaschermo acquistato a rate?
Forse siamo ancora spaccati, nel cuore e nell’anima
Cosa è cambiato? Cosa ci rende diversi da quelle due parti di Europa che il 9 novembre 1989 si sono svegliate spaccate, per andare a dormire ore dopo unite?
Il Muro, con la sua sinistra ombra, ha separato famiglie, amici e comunità. La sua caduta simbolizzava la fine di un’era in cui la cortina di ferro divideva il mondo. La fine di un’era iniziata sulle macerie di un’Europa distrutta e di un mondo che avrebbe potuto, dovuto, essere diverso. Nonostante la vittoria apparente della libertà, il pensiero conservatore ci ricorda che la lotta continua. “La libertà senza civiltà, la libertà senza la possibilità di vivere in pace non è vera libertà” diceva Nelson Mandela. Nel corso degli anni, nuove sfide sono emerse, minacciando quei valori a cui il Muro di Berlino pose fine.
Una lezione rimasta morta
Quel 9 novembre non segnò solo la caduta di un muro, una notte di distruzione e di speranza. Rappresentò un po’ la vittoria di un pensiero occidentale su quelli che venivano inquadrati come totalitarismi. Avremmo dovuto imparare, avremmo dovuto comprendere come dalle barbarie della seconda guerra mondiale, alla politica del terrore della guerra fredda, non ricadere più negli errori, stessi o simili. Invece oggi ordiniamo vestiti prodotti in Asia, mobiletti realizzati in sottoscala dispersi chissà dove e consumiamo cibo orientale come fossero polpette al sugo della nonna, ma non conosciamo il vicino, non rispettiamo le minoranze e i fragili. Non guardiamo più in là del nostro spazio. Tempo per un emoticon o per una frase fatta c’è sempre, ci sono i social. Abbiamo scelto l’indifferenza alla libertà. Ma la storia ci ha insegnato, o avrebbe dovuto farlo, che la libertà è un’eterna battaglia. E l’eredità della caduta del Muro di Berlino ci ricorda che è un impegno che non può essere trascurato.
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