Un pomeriggio come tanti, il sole a scaldare i turisti curiosi assiepati a Montecassino. Incuriositi da quella folla raccolta a pochi metri dalla porta Pax. Nelle lingue più disparate la stessa domanda. Cosa sarà accaduto? Cosa faranno queste persone? E poi la risposta di qualcuno, si sta per celebrare il funerale di un ex abate. “Sarà stato sicuramente qualcuno di importante!”. Così da presenze a un funerale, per i turisti muniti di Reflex, sandali e cappello con visiera, quei volti sono diventati attori di un pezzo di storia da raccontare al ritorno in patria.
E Dom Pietro lo è stato, importante. E’ stato l’ultimo. L’ultimo abate di una diocesi immensa, di un territorio spirituale – e non solo – vasto come un piccolo regno. Al tempo di Dom Pietro in tanti, tantissimi hanno mangiato quintali di… “spiritualità”. Gli stessi che, a frotte, nel momento della caduta dalla stelle alla terra polverosa hanno preferito girare le spalle, puntare il dito e indossare una di quelle belle parrucche da giudice tipicamente inglese. Tutti puri, tutti superiori, tutti innocenti, tutti vergini come le dame di corte a Versailles. Dimenticandosi in un attimo quei giorni in cui la via per Montecassino era trafficatissima in salita e in discesa, piena di reverenze e richieste, di “consigli” e di “benedizioni”. Ma si sa, la vita va così. Un giorno ti svegli re all’alba e finisci in una fossa al tramonto.
Mai ignorato
Difficile raccontare la parabola della vita di Dom Pietro, quel suo sguardo così fermo e profondo, quasi fastidioso. Uomo di studi, aspetto fondamentale della sua vita. Originario di questo territorio, alle spalle una vita da ragazzo “normale”, gli studi universitari e poi la vocazione. L’ascesa, la guida della casa di San Benedetto, suo 191 successore. Un uomo di chiesa amato, temuto, rispettato. Ma mai ignorato. Al termine della sua vita, negli ultimi anni, sicuramente odiato. Non da tutti, ma da molti.
Nessuna immagine rubata durante la celebrazione
Discrezione totale oggi a Montecassino, vietati fotografi, videocamere, troupe giornalistiche di qualsiasi tipo. In basilica presenti amici e compaesani, conoscenti e volti sconosciuti. Spicca qualche volto noto, Francesco Carlino in rappresentanza del sindaco di Cassino con la fascia tricolore, Gino Ranaldi con la fascia blu della Provincia. Giuseppe Di Mascio presidente del Coa, il rettore dell’Unicas, Dell’Isola. IL presidente della Banca Popolare del Cassinate, Vincenzo Formisano. Il sindaco di San Vittore, Nadia Bucci. Tanti gli amministratori attuali e di qualche tempo fa. Non troppi. Uomini e donne che si sono succeduti tra le poltrone della massima assise civica della città martire e che hanno voluto dire ciao all’uomo, all’amico, al monaco. Ognuno di loro legato, a suo modo, a Dom Pietro. Ad attendere il feretro a qualche metro dalla porta Pax, Mario Abbruzzese, suo storico amico.
In tanti non sono saliti al monte, differentemente da come facevano un tempo. In tanti hanno preferito restare a valle. In tanti hanno poi mandato messaggi, chiesto foto, chiesto chi fosse presente. Il gioco delle parti non si ferma mai, neanche di fronte alla morte.
Nell’omelia il perdono e il silenzio
A presiedere la cerimonia Dom Luca Fallica, nella sua omelia ha parlato di perdono “È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore (Lam 3,24-26). È dentro questa attesa, che matura la speranza autentica. Un’attesa vissuta in silenzio, perché a riempirla non devono esserci le nostre parole, neppure il nostro grido; a riempirla c’è e ci deve essere soprattutto la parola di Dio, la parola della sua promessa, la parola della sua misericordia e del suo perdono”.
E poi l’incontro più temuto da tutti, l’incontro con Dio, così affrontato da Dom Luca: “Quando noi proviamo a immaginare il giorno in cui saremo a nostra volta davanti al Signore, faccia a faccia, nell’ultimo e definitivo incontro, penso che tutti saremmo tentati di dire tante parole. Le parole dei nostri meriti, delle cose buone e belle che abbiamo realizzato; oppure le parole di pentimento e di richiesta di perdono per i nostri peccati. Ma il Signore ci chiederà anzitutto di attendere in silenzio per ascoltare la parola della sua promessa e della sua salvezza”.
Poi la conclusione, un monito a tutti, un invito “È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Trovino silenzio le nostre parole, anche le parole dei nostri giudizi o delle nostre polemiche, e risuonino piuttosto le parole della promessa di Dio, e insieme ad esse le parole della nostra preghiera, che affida e consegna Dom Pietro all’incontro con il Signore, Padre e custode di ogni vita”.
Dom Pietro è tornato in quella che è stata la sua casa per tanto tempo, e lì resterà. Riposerà nel cimitero monastico adiacente la Basilica Cattedrale. E qualcuno potrebbe dire: così è deciso, l’udienza è tolta.
Dom Pietro e l’imperfezione che lo ha reso così tanto umano
Sarebbe ipocrita parlare di Dom Pietro senza pensare a tutto ciò che è stato, allo scandalo che lo ha coinvolto, a quella ferita così grande giunta dopo. La scissione di quella diocesi che Cassino e i Cassinati sentivano come radicata nel sangue, il legame indissolubile con l’abbazia e con tutto quello che rappresenta da secoli. L’astio che ne è derivato, quella rabbia così profonda. E anche i detrattori della prima ora, quelli più estremisti, hanno affidato ai social nei giorni scorsi messaggi di doloroso commiato e di stima. Nella morte tutti torniamo a essere perfetti e degni dell’amore del prossimo.
Con lui si chiude un’era
Con la morte di Dom Pietro si chiude un’era, si chiude una parte importante della storia dell’abbazia e del territorio che “riposa” a valle. Se ne parlerà ancora, saranno raccontate le sue vicissitudini. La sua assoluzione, la sua condanna arrivata dal tribunale del popolo social. L’ascesa e la caduta. La malattia e le sue “apparizioni” in città. E arriverà il tempo in cui tanti, anche chi oggi ha preferito far finta di niente, racconteranno “Io lo conoscevo” e via di aneddoti. La morte cancella un po’, lenisce, in alcuni casi cambia pure la memoria. Ma a noi piace ricordarlo così come era Dom Pietro, con i suoi difetti, con i suoi pregi, con le sue alte conoscenze e con i suoi atteggiamenti a volte supponenti. L’uomo che per sei anni ha racchiuso in sé quei poteri, quello temporale e quello spirituale che tanto hanno segnato la storia del territorio. Nessuno è perfetto, l’uomo è fallace e soggetto a tentazioni. Tutti possono cadere, e la ferita dipende dall’altezza dalla quale si cade. Qualcuno riporta un piccolo livido, altri si sfracellano. E Dom Pietro era in alto. Ma alla fine siamo tutti uguali e tutti finiremo nello stesso posto, davanti a lui, davanti al sommo giudice. Quello che, come ci narrano da millenni, alla fine perdona e accoglie. Sempre. E chissà come sarà stato questo incontro tra Dom Pietro e Dio.
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