Processo Mollicone, dopo l’assoluzione degli imputati il clima resta infuocato. E’ apparso uno striscione davanti al Palazzo di Giustizia della città martire. Non è l’unico, altri ne sono stati messi in altre città della provincia. Il disappunto dell’opinione pubblica è tangibile e il dibattito resta molto acceso. La decisione non è stata accettata dalle persone che nel corso di questi anni hanno seguito le vicende giudiziarie. Ma le decisioni vengono prese nelle aule, ci sono i giudici per farlo. «Lasciate ogni speranza (di Giustizia) voi che entrate», recita lo striscione e tutti i commenti sono superflui.
La ferita di chi “rimane”
Gli anni non possono lenire quanto accaduto ventuno anni fa. C’è chi non c’è più. Serena, papà Guglielmo. Il brigadiere Santino Tuzi. Le vite di molti sono andate avanti, ma il pensiero corre sempre lì. A chi non c’è più, a chi oggi avrebbe potuto essere una mamma, una donna, un nonno amorevole. Le decisioni hanno delle conseguenze, vanno accettate. Vanno comprese. Ma come può comprendere chi convive da anni con il dolore e con il vuoto?
Il dolore di una comunità
A soffrire per questa assoluzione non sono solo i familiari delle vittime. In questi anni tutti sono diventati fratelli, genitori, amici di Serena. Hanno imparato a conoscere la forza di Maria Tuzi, lo sguardo buono e tenace di Guglielmo. Le foto di Serena sorridente, le terribili immagini del suo ritrovamento. Le fiaccolate. Tutti volevano sapere, tutti avevano bisogno di un nome, un volto. Quello che è rimasto, invece, sono delle foto. Di una diciottenne che aveva tutta la vita davanti, di una bambina al mare, di una ragazzina che taglia la torta il giorno della sua comunione. Di un nonno che stringe tra le braccia il nipotino appena nato. E quelle foto ci fanno stare male. Per quello che sarebbe potuto essere e che invece non è stato. Per colpa di… “nessuno”.
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