Seconda puntata della rubrica RESPIRO.
Sin da piccolo, oltre alla passione per i documentari, i miei libri preferiti erano quelli a composizione di un’Enciclopedia degli animali, ricordo il volume n.7, quello sull’ittiofauna ed ancora i numeri delle pagine dei miei pesci preferiti, vista la mia innata passione per la pesca. Un altro libro a cui ero e, sono tutt’ora affezionato, è un volume sugli uccelli migratori. Ancora ricordo i disegni fatti a mano e spesso riguardanti azioni di caccia, quando all’epoca assolutamente non vi era denigrazione di alcuna categoria. Tra le tante specie che normalmente monitoro, da una quindicina di anni ne seguo in particolare due: i Bianconi e i Corvi Imperiali.
Bianconi e Corvi imperiali
I Bianconi sono dei rapaci, migratori, a volte confusi con le nostre Poiane. Ma più affini, per le notevoli dimensioni, ad un’aquila, anche per la disposizione delle remiganti, le penne delle ali, durante il volo. A conferma di ciò anche il nome scientifico Circaetus gallicus checontiene la desinenza “aetus” che in greco significa proprio Aquila. Questi “falconi” (Kirkos) hanno un’apertura alare che rasenta i 2 m ed un corpo di quasi un metro. Ciò li rende maestosi ed impressionanti. In Italia di rapaci di queste dimensioni oltre l’Aquila Reale abbiamo gli avvoltoi, come il Gipeto, i Grifoni e Capovaccai. La prima volta che vidi un Corvo Imperiale fu durante una visita al Museo del Duca degli Abbruzzi a Courmayeur. Mi colpi la sua “stazza” e il colore nero infinito, da fare invidia ad uno delle migliori televisioni oggi in commercio.
Ambedue le specie risultano non censite o scarsamente presenti sul nostro territorio, motivo per cui da sempre me ne interesso monitorandoli costantemente.
Il biancone, in Italia è censito nelle regioni a confine con la Francia (da cui Gallicus) ma non nel resto di Italia, mentre “il corvo imperiale risulta piuttosto raro, tanto da comparire fra le specie inserite nel Libro Rosso degli Animali d’Italia: sull’intero territorio nazionale ne è infatti censita una popolazione totale inferiore alle 15 000 unità, con un numero di coppie nidificanti compreso fra le 3 000 e le 6 000, concentrate lungo l’arco alpino, in Sardegna, nel Gargano e lungo l’Appennino Meridionale, ma presenti grossomodo in tutte le aree rocciose del Paese” (font. Wikipedia).
Colori e angolazioni
Gli infiniti monitoraggi mi hanno condotto su di una montagna a me cara, a due passi dalla mia abitazione e che frequento per i colori e le possibilità infinite di angolazioni da dove posso fotografare ed ammirare tutto il nostro territorio.
Dai suoi 400m di altitudine è possibile avere una visione a 360° di tutto ciò che accade da noi. La montagna è caratterizzata da vegetazione bassa intervallata, in zona pedemontana, da piccoli boschi di “roverella” mista a Lecci e Carpini e da alcune “pinete” frutto dei trapianti post guerra.
Assaltare la vettta
A fare gola ad ambedue le specie sicuramente le rocce scoscese che caratterizzano le vette del monte. Le vie per accedervi sono molteplici: le più note partono dal versante dove vi è la chiesa di Santa Lucia (SUD- SUD/OVEST), ma lo si può fare anche dal versante che guarda verso il cassinate. Non essendo parco, si può decidere di assaltare la vetta seguendo i sentieri o anche semplicemente andando in direzione “a vista”.
Io sono solito suddividere la “cresta” in tre parti, salendo da quella che i locali chiamano “La Pietà” vi è un sentiero che mi porta appena sotto le asperità rocciose dove so di trovare i miei amici pennuti.
Torroculum
La prima Parte quella più bassa, è contraddistinta da alcuni alberi isolati e sul sommo vi è ancora una “palina” a ricordarci che anche questo è stato terreno di guerra. La seconda parte, la più alta, quella centrale del monte, si caratterizza per queste falesie, che ben si prestano al freeclimbing, con alla base piccole grotte che danno rifugio agli animali tenuti allo stato brado da alcuni allevatori. La terza, a me più cara, è quella dove si ergono le rovine di Torroculum, il castello da cui prendono il nome le “terre di Trocchio”.
Come equipaggiarsi
La difficoltà di una montagna non è data dall’altitudine, bensì dalla conformazione. I sentieri sono pietrosi e da affrontare con le giuste calzature. Un buono scarponcino da Trekking, con suola in Vibram e caviglia ben fasciata, potrà scongiurare di incorrere in dolorose distorsioni. In vetta, dato che la montagna è di fatto un vero deflettore tra masse d’aria, vi è spesso vento. Quindi un indumento che possa consentirci di smorzare l’azione dello stesso, peggio se sudati, ci darà la possibilità di percepire al meglio la temperatura ed evitare di raffreddarci. Inoltre, bisogna prestare attenzione alle rocce spesso taglienti.
Consiglio vivamente di non frequentare questa montagna con condizioni meteo avverse per il pericolo dei fulmini. Immancabile sarà un binocolo per avvistare gli animali. Ma spesso, se avrete la capacità di muovervi con discrezione saranno loro a farsi ammirare proprio come mi è capitato un po’ di tempo fa.
Il racconto
È una mattina fredda di fine inverno. Le temperature basse ed il vento spazzano le nuvole residue del passaggio dell’ultima perturbazione. Come spesso accade con i “venti freddi” il cielo cambia volto, il blu intenso fa sembrare vicini i Jumbo di linea tanto da poterli toccare. Decido di avventurarmi partendo a piedi da casa, il poco tempo a disposizione mi fa optare di salire diretto verso il castello.
Il passo celere, il piccolo tintinnio del moschettone attaccato alla mia borraccia mi accompagna. Giungo rapidamente ai piedi del monte che a piede lento attacco. Molte le rocce, alcuni rovi e qualche campanaccio degli animali del pastore sparsi per la montagna. I profumi sono quelli di una primavera oramai alle porte. Il rosmarino, il mirto e a tratti anche l’origano. Li distinguo singolarmente come se avessi avanti un piatto di uno chef stellato. Alcune pietraie si interpongono tra me e il pendio che incessantemente incalzo. Faccio un traverso e raggiungo alcune asperità rocciose. Mi siedo, RESPIRO, bevo un po’ d’acqua, contemplo la valle avvolta ancora da foschia e la Città con la sua impenetrabile coltre di smog, contento di esser lì riprendo il cammino: la vetta è vicina.
Dove osano i Bianconi
Il “CRA CRA” inconfondibile del corvo imperiale mi anticipa che sono nel posto giusto, ma la vetta è vicina. Tiro un dritto su questo pendio scosceso…sono quasi sul sommo. Il vento incessante sferza la mia faccia. Eccomi, arrivato…e lo stridio acuto del Biancone che a pochi metri da me si libra nell’aria. Siamo vicinissimi respiriamo la stessa aria, e da lì un altro mondo. Dove osano i Bianconi!