Di solito non amo svolgere attività outdoor durante il fine settimana, ma purtroppo quando si hanno impegni lavorativi da rispettare non si può fare altrimenti. Da un anno a questa parte, viste le restrizioni COVID, la gente per fortuna ha iniziato a capire l’importanza di svolgere una sana attività fisica sia essa motoria o sportiva. Attività ambedue consentite con alcune limitazioni. Questo incremento delle presenze, dato a mio avviso positivo, ha però generato quello che è per me un sovraffollamento in zone dove prima della pandemia era raro incontrare altre persone.
Questa presenza massiva mi ha portato, come mia indole prevede, ad esplorare un vecchio sentiero, lontano da strade o da luoghi noti, che non percorrevo da tempo e che tutto sommato ho ritrovato in buone condizioni. Ma come sempre accade, quello che avrebbe dovuto essere una corsetta in montagna si è trasformata in una fantastica avventura.
Inizia l’avventura
Sono a Cassino, alla mercè del nostro Sacro Monte, noto al mondo per la sua storia antica e moderna.
Previo un breve studio delle mappe e presi alcuni riferimenti, su cui basare i miei principi di “orienteering”, decido di attaccare Montecassino da Cassino Vecchia, da via Pinchera. Il passo veloce ed i muscoli già riscaldati mi fanno scorrere velocemente il breve tratto di strada asfaltata, guardando con ammirazione sempre quei ruderi tra la fitta vegetazione del bosco tanto cari a noi cassinati: Cassino Vecchia. Poche centinaia di metri ed imbocco il primo trail che tra gli arbusti di “sarcanda”, il profumo di mirto e alcuni alberi di “falsarago”, mi porta ai piedi della Rocca Janula che maestosa si erge a difesa del proprio avanposto. Alzando lo sguardo mi si pone dinanzi il monumento alla guerra, figura simbolo della distruzione della nostra città.
Il sentiero segreto
Passato il monumento e velocemente attraversato il famoso “tornante della Rocca”, riprendo il sentiero che secondo i miei calcoli dovrebbe portarmi in un’area poco nota della montagna. Il trail, ripido, appettato, caratterizzato da una fitta vegetazione e sassi sciolti è in discrete condizioni. Per chi è appassionato di mtb, per un periodo si parlò anche di renderlo “raidabile” e forse lo ricorderà come “storm line”. La giornata calda e la macchia mediterranea iniziano a farsi sentire, i battiti aumentano, il sudore inizia ad inumidire il mio cappello. Guardo verso l’alto, dopo circa una 30ina di minuti di passo, una flessione del crinale lascia intendere che la parte più dura è passata. Il sentiero “spiana” e taglia il pendio entrando in un piccolo bosco misto di carpini e pini di rimboschimento.
I Bianconi di Montecassino
A colpire la mia attenzione un verso acuto, inconfondibile, che riconosco nell’immediato…il tempo di scrutare il cielo ed ecco che una splendida coppia di Bianconi si staglia dal vicino Monte Maggio, come a volersi appositamente lasciarsi ammirare. Uno dei due in particolare plana molto vicino alla mia roccia dalla quale, semi nascosto, li sto osservando. Ne distinguo le remiganti ed il disegno inconfondibile…poco dopo a distogliere la mia attenzione da questi splendidi rapaci il fragoroso frullo di alcuni colombacci impensieriti dai voraci predatori.
L’orrido, in questo caso è pura meraviglia
Soddisfatto già dell’avvistamento, approfitto per reintegrare un po’ di liquidi e mi rimetto in marcia. Man mano che scorro il bosco raggiungo una gola strettissima, caratterizzata da grossi massi, dove il sentiero si fa strada. Ma a lasciarmi stupito è un salto di roccia di circa una quindicina di metri. Mi fermo, foto di rito e annoto sulla mia moleskin “da tornarci durante i mesi delle piogge”. Per chi è appassionato di montagna sa bene cosa siano gli “orridi”, per chi non lo sapesse sono delle cavità carsiche generate dai corsi d’acqua siano essi perenni o stagionali.
Un’offensiva, preceduta da una copertura di artiglieria???
Bastano pochi metri, mettere gli occhi a “terra” ed ecco che alcuni oggetti, arrugginiti di forma cilindrica attirano la mia attenzione. Li fotografo e ben mi avvedo dal toccarli. Mi verrà spiegato poi inseguito che trattasi di una specie di “batteria fumogena” (smoke cannisters) a composizione dei proiettili di artiglieria alleata.
Neanche il tempo di rimettere a posto il telefono che lo sguardo cade su di una famigerata MK2 o “ananas” la bomba a mano utilizzata dagli alleati. Anche se il cielo è terso, nella penombra del bosco, non so perché inizio a vedere in bianco in nero. In ogni anfratto immagino soldati alleati e non. Alla mente tornano i racconti del vecchio Taddeo un reduce polacco caro a me e alla mia famiglia. Vedere quella bomba inesplosa, ha lasciato nella mia testa tante domande e per un momento i pensieri e le angosce di quei ragazzi le ho sentite mie.
Il fortino nascosto
Il tempo scorre, riprendo il cammino, raggiungo rapidamente la sommità di un colle. Un bel prato, con bellissime rose canine mi regala una visuale inedita dell’Abbazia che da sempre sorveglia e vigila sul territorio cassinate. Cosa nota e ben chiara agli invasori durante la seconda guerra mondiale, ma anche ai popoli che li hanno preceduti. Avendo deciso di tracciare una nuova “via”, abbandono il sentiero e mi avventuro in una area con vegetazione folta, il carpineto fittissimo fa da padrone, ma non ostacola il mio avanzare incessante. Inizio a salire su una dorsale caratterizzata da pietre sciolte fino a quando non mi trovo dinanzi a delle vere e proprie mura di cinta. Il tempo di realizzare di cosa si trattasse ed ecco altri ruderi ad indicarmi una vera e propria area fortificata. Sicuramente sfruttata durante la guerra ma le grosse pietre di certo sono riconducibili ad una struttura ben più antica.
Ancora non è certezza, ma da una antica mappa e alcune ricostruzioni storiche potrebbero trattarsi dei ruderi di un antico forte utilizzato anche a difesa dell’abbazia intorno al 1600.
Si rientra…
Il tempo scorre, il sole inizia a ricordami dove è l’ovest, di strada ancora ne ho da fare, bevo un goccio d’acqua, a testa bassa riprendo la via di casa. Stanco certo, ma consapevole di aver “vissuto la vita” e nel petto il “Respiro” di quelle genti che su quella terra ha camminato prima di me.
Sergio Giannitelli