Coronavirus. Anche la provincia di Frosinone, praticamente a un anno esatto di distanza dal lockdown nazionale, è diventata zona rossa. Ce lo meritiamo? Purtroppo, fondamentalmente sì. Abbiamo già parlato del problema causato in effetti dai trasporti. E dobbiamo dire che il Governo nazionale non imparò nulla dalla Francia. Dove le scuole erano state riaperte a inizio settembre, per vedere che il rischio era altissimo: dai circa 4.000 casi giornalieri della fine di agosto, trascorsi i canonici 14 giorni che permettono di verificare l’impatto di una determinata attività o misura di contenimento, si è passati a circa il doppio per poi triplicare al termine della terza settimana (circa 12.000 casi di media giornaliera).
Tempi allungati
In Italia le cose non sono andate molto diversamente. I tempi appaiono allungati soltanto per via della tornata elettorale (diciamolo con chiarezza: un altro fattore di rischio) che portò alla provvisoria chiusura delle scuole, con minore carico sui trasporti, già pochi giorni dopo la ripresa delle lezioni. E che la relazione fra il sistema scuole/trasporti/contagi sia strettissima lo si capisce anche dall’osservazione che nei mesi scorsi c’è stato dapprima il doppio, poi il triplo dei casi rispetto alla ripresa delle lezioni, fino ad imprimere al contagio un tempo di raddoppio di circa 9 giorni. Una differenza con l’Oltralpe però c’è. Tra i pochi dati che vengono rilasciati ufficialmente sui luoghi del contagio ci sono quelli sulle scuole. In queste si è riscontrato appena il 3,5% dei focolai totali.
La vetta dell’Everest è sicura
Il dato differisce vistosamente da quello francese, dove scuole e università pesano per quasi il 40% sui focolai totali. Proprio perciò possiamo dire che le scuole italiane sembrano davvero essere sicure, esattamente come la vetta dell’Everest. Il problema non è starci sopra, ma arrivarci e poi scendere. Allo stesso modo, non sono le aule il problema, ma il fatto che ci si debba arrivare e poi il ritorno a casa. Il contagio avviene durante lo spostamento degli studenti e del personale scolastico. Abbiamo approfondito il tema delle scuole e dei trasporti, ma come già detto bisogna guardare all’insieme per individuare il maggior numero possibile di attività, comportamenti e interazioni in grado di aumentare la diffusione del virus.
Non tutti i luoghi sono uguali
Dobbiamo dirlo di nuovo: se prendiamo singolarmente bar, ristoranti, palestre, sport di vario genere, queste attività possono essere considerate a basso rischio. Soprattutto se gestite in modo corretto e rispettoso delle regole. Sappiamo purtroppo, e ognuno di noi ne ha evidenza quotidiana, che insieme a molti bar, ristoranti, palestre e così via dove le regole di prevenzione sono applicate attentamente, ce ne sono almeno altrettanti dove questo non accade. E purtroppo, con il nuovo Coronavirus, non tutti i luoghi sono uguali. Cambia molto il rischio legato alle modalità di svolgimento di un’attività.
In altri termini, mangiare, bere un caffè, svolgere attività fisica o giocare una partita di calcio sono attività durante le quali non si può indossare la mascherina. Il diavolo però si nasconde nei dettagli, e questo dettaglio non andrebbe trascurato. Se aggiungiamo i comportamenti dissennati di tanti che se ne vanno a zonzo facendo prendere aria alla mascherina o usandola come scalda-collo, si capisce perché siamo diventati “rossi”.
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