Il “mostro” detta le regole del gioco

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Una mattina che inizia come tante, con la stanchezza accumulata, con la voglia di restare sotto le coperte. La sveglia trilla, inutile spegnerla perché suona e risuona ogni tre minuti. Così ci si alza e si affronta la giornata. Per chi si sottopone a terapie croniche o accompagna pazienti in questi “viaggi” non esiste paura, non esiste aspettativa. Esiste solo stanchezza, frustrazione. Un giorno dopo l’altro, un’infusione dietro l’altra. Volti che sfilano come ombre, voci. Alla fine le risate degli infermieri diventano come quelle di un familiare, si riconosce il medico di turno dalla scia del profumo che lascia, uomo, donna, giovane: Antonio, Roberta, Raffaele. Nelle loro mani il futuro del paziente. Anzi, il presente.

Si vive tra una terapia e l’altra

Si vive nell’attesa tra una terapia e l’altra, non esistono festivi o compleanni, il tempo è scandito dalla chemio, dalla dialisi, dalle trasfusioni. Quegli uomini e quelle donne in camice e ciabatte diventano figli, fratelli, madri. E ora? Ora solo lo sguardo, solo gli occhi e le voci dietro mascherine, visiere, protezioni. Per la loro incolumità ma anche per quella dei pazienti. Un legame che supera ogni virus. Nelle corsie degli ospedali si crea un rapporto molto strano tra malati e personale, ma quello che nasce nelle sale in cui i malati ricevono cure croniche è diverso. Ognuno ha la sua postazione, vicino alla finestra o vicino all’area infermieri, qualcuno è scaramantico e non vuole la poltrona 13 o 17. Tutto il resto del mondo resta fuori. Si parla di ricette contro la nausea, di rimedi alternativi, di nevralgie a mani e piedi, battute sui capelli che non ci sono più.

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Star male liberamente

Dietro quelle porte ci sono loro, i “veri” figli, mariti, sorelle. Nel loro sguardo la paura della perdita, l’inadeguatezza di chi non sa gestire una malattia, il dolore nel vedere la persona cara soffrire senza poter far nulla. L’impotenza. E per chi sta male a volte è difficile, la responsabilità del dolore altrui è pesante. La scelta è tra lo star male liberamente o “imporsi” di stare bene per non dare ulteriori preoccupazione alla famiglia. E quindi anche rabbia, fastidio e senso di colpa per provare rabbia e fastidio. Così dentro quei locali asettici, a contatto con persone che hanno lo stesso male o che vivono il male per mestiere e non per amore, ci si ritrova a essere tutti uguali, di nuovo, senza distinzioni e compassioni.

Inizio il conto alla rovescia

La condivisione della malattia con che ne conosce il peso la fa sentire più leggera. Una società parallela, il micromondo della malattia, con le sue leggi, le sue regole e i suoi valori.
Fuori le ore scorrono, il non sapere cosa accade dentro rallenta tutto. I corridoi diventano luoghi d’oblio in cui sembra di rivivere tutta la vita “Se avessi detto”, “Se avessi fatto”, “Non avrei dovuto”, “Avrei potuto”. Ci si ripromette di mettere ordine, di conquistarsi quello spazio di chiarezza e chiarimenti. Per poi, inevitabilmente, lasciar cadere ogni progetto quando da quella porta riesce quel pezzo di te. E la giornata volge al termine e già inizio il conto alla rovescia per la prossima terapia.

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